DALL’IRAN ALLA LIBIA/ Le mosse che convengono all’Italia (ma che M5s e Pd frenano)

La posizione espansiva della Turchia nel Mediterraneo rappresenta per l’Italia un pericolo maggiore della situazione in Medio Oriente

09.01.2020 - Carlo Pelanda ilsussidiario.net – lettura2’

Quali sono i rischi economici per l’Italia generati dai conflitti nel Golfo Persico e in Libia? L’aumento a picco del prezzo di petrolio e gas appare il più pericoloso sul piano sistemico perché indurrebbe un aumento anomalo dell’inflazione che comporterebbe, via politica monetaria restrittiva, sia un incremento del costo del debito, sia un minore potere di acquisto di salari e pensioni. Da un lato, il rischio c’è: la produzione del petrolio in Iraq e Libia è ridotta dall’instabilità, così come in Venezuela e il 20% dell’energia fossile mondiale passa per lo stretto di Hormuz il cui blocco è una possibile opzione della reazione iraniana all’esecuzione da parte statunitense del capo delle operazioni estere e clandestine del regime, Soleimani. Dall’altro, è improbabile che l’Iran tenti azioni belliche forti perché, pur potendo fare qualche danno, l’America ha una totale superiorità militare.

È più probabile che le tensioni vengano usate da Arabia saudita e Russia per tenere un po’ più alti i prezzi petroliferi perché ambedue hanno bisogno urgente di soldi, ma entro limiti anche determinati dall’amministrazione Trump che non vuole aumenti eccessivi dei carburanti in periodo elettorale, né una recessione globale che impatterebbe sull’America.

Al momento tale rischio sistemico appare medio-basso. Per l’Italia e l’Ue, infatti, il rischio maggiore è dato dalla posizione espansiva della Turchia nel Mediterraneo: ingaggio militare in Libia contro le milizie di Haftar sostenute da Arabia, Emirati, Egitto, Russia e, ma ormai marginale, Francia e a favore di al Serraj sostenuto da Qatar e Italia, ma Roma ormai marginalizzata, in cambio di un trattato turco-libico per la creazione di un’area economica marina congiunta per lo sfruttamento energetico dei fondali nel Mediterraneo orientale e l’interdizione di gasdotti che saltano la Turchia, per esempio quello in costruzione tra Israele, Cipro e Grecia, di fatto una dichiarazione di guerra all’Ue. E all’Italia perché Ankara, sembra, puntare a separare Tripolitania e Cirenaica per dominare la prima e forse espellere l’Eni.

Soluzioni? L’Italia dovrebbe inserirsi nell’alleanza con i sauditi e l’Egitto, sostenuti da America e Israele, e concordare con Parigi – Berlino vuole starne fuori – il respingimento delle ambizioni turche, mostrando più sostegno all’America in relazione all’Iran per riceverlo sulla questione libica. Ma il Governo è indeciso, l’Ue debole: questo è il vero rischio.

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