I grillini non ridefiniscono i poteri delle Camere o del premier ma si limitano a voler tagliare solo il numero dei parlamentari

La logica che informa questo provvedimento si basa infatti sul taglio dei privilegi della politica

di Martino Loiacono 1.3.2020 italiaoggi.it

Mentre l'emergenza Coronavirus tiene l'Italia con il fiato sospeso, la lotta politica ha subìto una battuta d'arresto. E con essa anche la campagna per il referendum sul taglio del numero dei parlamentari, una delle ultime frecce all'arco del Movimento 5 Stelle. Il referendum, che prevede la riduzione da 630 a 400 deputati per la Camera e da 315 a 200 senatori per il Senato, dovrebbe svolgersi tra un mese, il 29 marzo. Anche se per via della crisi sanitaria, potrebbe essere posticipato. La consultazione, per come si erano assestati gli equilibri, potrebbe avere un enorme peso specifico per il M5s perché gli permetterebbe di riaffermare uno dei suoi cavalli di battaglia: la lotta senza quartiere alla Casta.

La logica che informa questo provvedimento si basa infatti sul taglio dei privilegi della politica, e quindi sulla riduzione del numero dei parlamentari, i privilegiati per eccellenza seconda la vulgata pentastellata. Secondo la prospettiva grillina, infatti, il parlamentare non è colui che rappresenta i cittadini nelle istituzioni, interpretandone istanze e necessità, ma è spesso un arraffone da combattere. Non è affatto casuale che si parli proprio di taglio dei parlamentari, togliendo il termine «numero» che renderebbe l'espressione più neutra. L'obiettivo sembra proprio quello di colpire il parlamentare in quanto tale, quasi la sua figura fosse di per sé negativa

Questa concezione del Parlamento e dei parlamentari rivela anche un modo di procedere piuttosto discutibile. In effetti, i fautori di tale provvedimento non si interessano tanto delle capacità dei singoli parlamentari, cioè della loro abilità di decidere e farsi interpreti dei bisogni della società, ma solo della loro riduzione. Un'idea di politica piuttosto povera che si fonda sulla semplice e banale contrapposizione tra società civile e Palazzo. E che non mira ad accorciare la distanza tra rappresentati e rappresentanti ma ad allargarla, rialimentando lo scontro tra i cittadini onesti e la casta, tra il grillismo e la politica tradizionale.

Perché se davvero si volessero riavvicinare cittadini e politici si procederebbe in tutt'altro modo. Non certo promuovendo il taglio delle poltrone, ma impegnandosi per una politica diversa, fondata sulla capacità e sull'esperienza. Si reclamerebbe per avere politici capaci di stare sul territorio, di saper ascoltare e soprattutto di saper decidere in base a competenze maturate negli studi e magari nel corso di una carriera nei consigli comunali, provinciali e regionali. Un'impostazione simile sovvertirebbe la propaganda grillina e probabilmente aiuterebbe gli italiani a riflettere sui danni della demagogia gentista. Anche perché, non va dimenticato, la riforma voluta dal Movimento 5 Stelle, non ridefinisce i poteri delle Camere e del Presidente del consiglio. Interviene solo sul numero dei parlamentari, per accontentare una cittadinanza allevata a pane e antipolitica. Ma non cambia le sorti del Paese. Ne soddisfa solo i più bassi istinti.

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