Unità dopo la crisi

Urbani, padre nobile di FI, spiega perché il partito del Cav. non potrà dire di no all’unità nazionale

di Carmelo Caruso 22-4- 2020 ilfoglio.it lettura 3’

Roma. “Un governo di unita nazionale, ma che sia davvero nazionale, legittimato da un voto del Parlamento. Lasciamo perdere le furbate”. E infatti, Giuliano Urbani che rimane padre di Forza Italia e che trascorre la sua quarantena a Napoli, città dove disastri ed epidemie sono patrimonio genetico così come la sottigliezza, dice di essere a volte combattuto tra il malumore la speranza, al crocicchio così come si trova adesso Giuseppe Conte, “abile, astuto, ma all’incrocio fra due scontenti. Lo scontento parlamentare e lo scontento che crescerà, e crescerà, nel paese”. Per ripararsi a destra, come Don Giovanni, corteggia Silvio Berlusconi e Forza Italia. Per tutelarsi a sinistra, ascolta Dario Franceschini che per Urbani è l’unica personalità dotata di esperienza politica, in pratica il solo che potrebbe compiere l’impresa del governo di ricostruzione: “In questo momento è tra i pochissimi che possono presentarsi in parlamento per raccogliere i voti di tutti. Io rimango dell’opinione che non bastano i tecnici”. Conte non basta? “La sua forza è che non ci sono alternative, ma il suo vago tentativo di blandire Forza Italia non è sincero. Sia chiaro: un governo di unità nazionale è quello che ci serve, ma per farlo non basta chiedere a Forza Italia di allearsi. Deve starci tutto il centrodestra.Ho come l’impressione che la mossa di Conte serva solo a dividere quel campo. Mi sia permesso di dire che è un po’ meschino. In quel caso la destra farebbe una stupidaggine”. E la sinistra la farebbe ancora sostenendolo? E qui Urbani, che si può permettere il privilegio del distacco, rivela la formula chimica, l’alambicco che protegge questo premier: “Nessuno vuole essere al suo posto e nello stesso tempo nessuno vuole essere al suo fianco”. E insomma, per l’ex ministro della Cultura, Conte è stato al momento “un uomo fortunato”, ma in queste settimane non riesce a trasformare la sciagura dell’epidemia in opportunità. Cosa intende? “Intendo dire che Sergio Mattarella aveva chiesto un governo stabile. Poi è arrivata questa iattura che è vero ha complicato tutto ma che avrebbe anche potuto semplificare ogni cosa. Questa emergenza è un alibi perfetto per dire: ‘Non possiamo permetterci di litigare, uniamoci’”. Urbani immagina un cartello unico che non potrà che farsi carico di ripensare la macchina amministrativa, un governo della durata di sei mesi, un anno al massimo, che si possa presentare in Europa e negoziare a nome di tutti gli italiani. E se invece si andasse a elezioni? “Non è altro che una sciocchezza. Le elezioni in queste condizioni non si possono tenere. Gli italiani manderebbero a quel paese tutti i partiti. Non hanno la testa. I loro pensieri sono rivolti a sopravvivere, ripartire. Le elezioni non sono praticabili”.

E però, un governo di solidarietà con Conte non lo è neppure.

“Come si può fare se prima ancora di unire prova a dividere il centrodestra? Non facciamo ridere perché altrimenti faremmo pena” risponde Urbani che non ha apprezzato l’invasione di Conte in televisione (in verità neppure il Pd), a suo dire “un monopolio” ma che non crede a chi strepita: ‘Chiamiamo Mario Draghi oppure Vittorio Colao’”. Li conosce, e bene, tutti e due. Con loro ha avuto un rapporto speciale. “Sono stato io a chiamare Draghi all’università di Firenze mentre Colao è stato mio allievo”. Ce li vuole raccontare? “Preferisco dire brevemente che Draghi sarebbe un ottimo presidente della Repubblica, ha un senso alto dello Stato, ma non ha esperienza politica e per quanto se ne dica, serve. Bisogna ottenere i voti, chiederli, riceverli. Colao è stato un grande amministratore di aziende giganti. Ma finora ha visto le rose e poche spine. Serve la legittimazione che solo i partiti possono concedere”. E naturalmente sopra ogni cosa rimane Mattarella che nessuno può strattonare e che non è uomo da percorsi spericolati. “Non forzerebbe. Ognuno ha la personalità che ha. E’ giusto così. Giorgio Napolitano avrebbe forse reagito diversamente. Mattarella non è un boxer. Per autorizzare un cambio deve avere sul tavolo un progetto valido e scelto dal parlamento” pensa Urbani che registra, un po’ come Vincenzo De Luca, un crollo psicologico della classe politica. “Non voglio fare il saccente, ma i perigli scoprono sempre gli uomini. Uno dei ministri più bravi è Stefano Patuanelli che, di fatto, non ha nessuna esperienza. Stanno imparando. E’ vero. Ma sulla loro e sulla nostra pelle”. Il più navigato è Franceschini che occupa quello che è stato il ministero di Urbani e per quello che resta “un compito tremendamente difficile. Il prossimo premier non potrà che essere un premier di solidarietà”.

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