Un senatore di FI contro il sovranismo da salotto di Salvini (good!)

Da noi ci sono intellettuali talmente di sinistra per i quali la sinistra che c'è non è mai la sinistra che sognano. Hanno speso una vita a demolire il craxismo, il berlusconismo, il prodismo, il renzismo.

Chi ha scritto al direttore 4.7.2020 ilfoglio.it

Al direttore - Se le parole avessero un senso, Matteo Salvini ieri avrebbe denunciato l’alleanza di centrodestra e rinnegato ogni intesa politica con Forza Italia. Come potrebbe, se le parole avessero un senso, continuare a collaborare con un movimento politico che agisce “contro l’interesse nazionale”? Abbiamo sufficiente uso di mondo per sapere che quando un’agenzia di stampa diffonde, con tanto di asterischi a segnalarne l’importanza, una dichiarazione incisiva attribuendola a “fonti” di un partito, a dettarla è stato il capo della comunicazione di quel partito su indicazione del segretario. Alle 13.19 di giovedì, l’Agi ha scritto così: “Sul Mes la posizione di Forza Italia è contro l’interesse nazionale italiano”. “E’ quanto fanno notare fonti leghiste…”. Messaggio chiaro, firma evidente. Matteo Salvini non manifesta un dissenso politico, non rivendica una diversità di opinione, non entra nel merito della questione: grida al tradimento della patria, la peggiore delle accuse. Una delegittimazione radicale non del Mes, ma di Forza Italia che con realismo ne difende le ragioni. Come se all’interesse nazionale non possano essere legittimamente ispirate scelte diverse da quelle care alla propaganda antieuropea… Se le parole avessero un senso, sarebbe il segno che Matteo Salvini ha deciso di rifiutare alleanze al “centro”, di rompere il centrodestra e di lanciarsi a briglia sciolta e in totale solitudine lungo le praterie narcisistiche del sovranismo da salotto. Se le parole avessero un senso, sarebbe venuto giù tutto. Invece non è successo nulla. Ma proprio nulla, nulla davvero. Non una polemica, non una richiesta di scuse, non più di qualche riga sui giornali. Parole universalmente giudicate senza senso, evidentemente. Ma difficili da dimenticare.

Andrea Cangini, senatore di Forza Italia e portavoce di Voce libera

Mi chiedo: ma che cosa aspetta un partito come Forza Italia, che sulle questioni che contano ha visioni diametralmente opposte a quelle dei sovranisti da salotto, a lavorare per creare un polo europeista alternativo a quello antieuropeista? E, in subordine, cosa aspetta Forza Italia a portare avanti una grande battaglia a favore del proporzionale, per emanciparsi dai sorvanismi all’amatriciana? L’occasione c’è. Lo spazio pure. Il tempo non manca. Si può essere contro il governo senza essere contro il buon senso. O no?

Al direttore - Da noi ci sono intellettuali talmente di sinistra per i quali la sinistra che c'è non è mai la sinistra che sognano. Hanno speso una vita a demolire il craxismo, il berlusconismo, il prodismo, il renzismo. Sempre dalla parte degli oppressi, hanno scritto libri vibranti di indignazione contro l’eterna vocazione autoritaria, compromissoria, subalterna, trasformistica, premoderna, delle italiche classi dirigenti. La domenica predicavano nuovi modelli di sviluppo, naturalmente alternativi a un capitalismo cieco e disumano. Nei giorni feriali ci spiegavano che tra democrazia e mercato esiste una contraddizione insanabile. Negli anni bisestili era il turno delle grandi utopie: dalla liberazione dal lavoro alla kantiana pace perpetua. Severi custodi della Costituzione più bella del mondo e inflessibili guardiani di ogni immobilismo istituzionale, si sono poi convertiti all'etica della responsabilità. Hanno quindi cominciato a corteggiare quelli che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno. E oggi, pur di salvare la baracca governativa, propongono un patto elettorale tra i partiti della maggioranza con la ricandidatura di Virginia Raggi a sindaco di Roma. Alla faccia del bicarbonato di sodio, direbbe Totò. Infatti, l’idea è di una comicità grottesca. Ma la storia è piena di eterogenesi dei fini. Poco prima della sua morte, Eric Hobsbawm osservava con una punta di nostalgia che l’epoca in cui gli intellettuali erano il principale volto pubblico dell’opposizione al potere apparteneva ormai al passato. Lo storico britannico del “secolo breve” descriveva così il declino di una delle figure centrali del Novecento, fosse al servizio delle élite dominanti, organico a un partito, un cane sciolto. Ma l’intellettuale è sempre stata una bestia strana. Qual è il suo mestiere? Secondo Luciano Bianciardi, insofferente a ogni establishment culturale, era indefinibile. Per l’autore della “Vita agra” il vero intellettuale, in fondo, è – o dovrebbe essere – schiavo di tutti e servo di nessuno. Può darsi, comunque non un acrobata del circo equestre nazionale.

Michele Magno

Al direttore - “E allora i marò?” è stata per anni la domanda di ultima istanza dell’allora nascente partito unico populista-sovranista. Qualsiasi tentativo di razionalizzare il confronto politico si arenava di fronte alla domanda sui due militari trattenuti. C’era chi in scioltezza proponeva di dichiarare guerra all’India e chi “astutamente” voleva un blitz di Rambo per liberare Girone e Latorre. Favole per gonzi in Italia e minacce da operetta per l’India. La vicenda per cui erano incriminati era oggettivamente ambigua. Il governo indiano aveva bisogno di mostrare che due occidentali accusati di omicidio non la facevano franca. Alla fine, il buon esito si è realizzato senza minacciare reni spezzate: la diplomazia ha lavorato perché i fari si spegnessero e i due tornassero in licenza in Italia; il diritto internazionale ha assicurato un arbitrato con cui ora finalmente è stato riconosciuto che Latorre e Girone operavano su una nave italiana sotto giurisdizione italiana, e che l’Italia deve invece risarcire le famiglie dei pescatori per violazione della libertà di navigazione. Ah, per il tempo trascorso in India, i due marò erano ospitati con stipendio nella residenza dell’ambasciatore italiano. Niente segrete indiane da cui salvarli, insomma.

A noi italiani, purtroppo, nessuno ci risarcirà per le tante scemenze sui marò che per anni abbiamo dovuto ascoltare.

Pier Camillo Falasca

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