Bertinotti. Il Pd e i conflitti di governo “Critiche di Bettini al governo giuste, ma è solo maquillage”

«I partiti si sono ridotti ad essere dei meri portatori d’acqua del governo. E così finiscono per testimoniare la loro inutilità politica».

Umberto De Giovannangeli — 10.9. 2021ilriformista.it lett6’

Intervista a Fausto Bertinotti: “Critiche di Bettini al governo giuste, ma è solo maquillage”

«I partiti si sono ridotti ad essere dei meri portatori d’acqua del governo. E così finiscono per testimoniare la loro inutilità politica». Un consiglio a sinistra, e non solo: sarebbe cosa buona e giusta ascoltare Fausto Bertinotti. Non per applaudirlo o vessarlo, ma perché, la si pensi come si vuole, le sue argomentazioni, per la loro profondità, sono merce rara oggi nel mercato della politica. Quanto al giudizio di Goffredo Bettini sul governo Draghi, l’ex presidente della Camera la mette così: «Bettini individua nel governo Draghi una “prigione”, solo che la sua proposta rischia di ridursi ad un maquillage di quella “prigione” medesima».

Nel Partito democratico si sono aperte le “danze” congressuali. E uno dei temi più caldi riguarda il giudizio politico sul carattere del governo Draghi. Secondo Bettini quello guidato dall’ex presidente della Bce «non è il governo del Pd ma è un governo di emergenza nazionale». Lei come la vede?

In realtà questi movimenti dentro il Pd parlano non solo di un disagio ma di una crisi profonda, in cui sembra persino difficile rispondere con una proposta politica. Ma non voglio sviare la sua domanda. Necessariamente, visto che il Pd vive solo di governo, il conflitto non può che avvenire sul governo, se e quando avviene. Bettini indica un problema, grosso modo il seguente: questo governo a potente guida tecnocratica, marginalizza i partiti, già debolissimi. L’idea, che pure è circolata, secondo cui in questa sorta di tregua neo autoritaria, i partiti avrebbero potuto rimettersi in cammino, idea avanzata da più parti all’inizio del governo Draghi, è stata falsificata.

In che senso?

I partiti sono ridotti a una marginalità senza precedenti. Basti dire questo: essendo tutti al Governo, nessuno di loro è in grado neanche di pensare lontanamente all’aut-aut: o così o rompiamo. Nessuno. Le polemiche sono polemiche tra i partiti. Vale l’immagine dei polli di Renzo di manzoniana memoria: si possono beccare tra di loro ma la mano che li regge è inattaccabile. Posso parlare di inutilità dei partiti? Beh, per un vecchio militante è un problema complicato, però diciamo che il problema è almeno questo, cioè una crescente percezione di inutilità dei partiti che, pur vivendo solo di governo, non riescono a fare del governo una discriminante politico-programmatica. Sono dei portatori d’acqua. Sostengono il governo ma non ne influenzano le scelte. Questa percezione fa sì che Bettini dica “non è il nostro governo”. È difficile su questo dargli torto. Poi, però, bisognerebbe rispondere alla domanda successiva…

Quale sarebbe?

Ma allora il governo di chi è? Non è il governo che abbiamo imparato a conoscere nell’ordinamento costituzionale repubblicano: quello a centralità del Parlamento e, in quanto soggetti decisivi nella formazione del governo e della maggioranza, dei partiti medesimi. “Non è il nostro governo” perché non è il governo dei partiti e del Parlamento. Tant’è che chi gli risponde che quello guidato da Mario Draghi è “il nostro governo”, gli risponde con un dover essere, non con un elemento analitico. Chi dice: è “il nostro governo”, è perché noi abbiamo deciso che sia così. Noi diciamo che è nostro perché lo sosteniamo senza condizioni. È “nostro” perché non abbiamo altro orizzonte che questo governo. Il senso potrebbe essere significativo, dipende dagli sviluppi. Una volta stabilito che questo non è il “nostro governo”, per tornare all’affermazione di Bettini, e forse, senza dirlo, che questa è la nostra “prigione”, pensa che ci si debba liberare da questo laccio. Se non che…

Se non che, presidente Bertinotti?

Se non che, e ciò conferma la crisi dei partiti, Bettini non propone di tagliare gordianamente il laccio, ma di trovare un accordo per allentarlo con chi ha in mano il laccio medesimo. In altri termini, non è che dice allora siccome questi ci facevano credere di governare, andiamo alle elezioni. Invece, siccome è così, chiediamo a Draghi – per dire della tecno oligarchia e non solo di una persona – di temperare questo potere assoluto distribuendone una parte. Galli Della Loggia ha fatto riferimento alla Quarta repubblica di De Gaulle. In questo caso, devi mettere “tecnoburocrazia” a posto di De Gaulle. L’idea che, secondo me, avanza Bettini è quella di passare dal regime gollista con De Gaulle a un regime gollista senza De Gaulle. Senza De Gaulle, nel senso che quando c’era De Gaulle, dalla presidenza della Repubblica al governo c’era una compattezza, era la sua, come adesso col governo dei presidenti. Dopo De Gaulle, abbiamo avuto anche la coabitazione. Qualche spazio di autonomia dal governo del presidente. Questo, a mio avviso, è quello che grosso modo pensa Bettini: concordiamo con il “Principe” un ridisegno dei confini nei quali si esercita il potere assoluto del “Principe” stesso, e così facendo apriamo uno spazio alla politica dei partiti. È così vero che l’ambizione non dichiarata, ma abbastanza leggibile come intenzione, di andare presto alle elezioni, non viene invocata direttamente ma suggerita surrettiziamente con il passaggio di Draghi alla presidenza della Repubblica. C’è l’individuazione di un punto di sofferenza vero, reale, ma una risposta che, non casualmente, non conta sulla forza politica, sulla sua soggettività, sulla scesa in campo del Pd. Invece si propone una manovra politica. E qui ci sono le due obiezioni esterne al ragionamento…

Quali sarebbero?

La prima è che il Pd è irriformabile. Come a provvedere al fatto che non c’è neanche una discussione in realtà aperta. Dice: il Congresso. Voglio vedere se si arriverà a tesi alternative, a un Congresso degno di questo nome o invece se, al solito, ci sarà un unanimismo come unica risposta alla crisi del Partito. La seconda, è che siccome la manovra politica poggia, ovviamente, sulla politica medesima, essendo la politica lontana dal Paese reale, ed essendo la politica così gravemente malata, qualsiasi manovra che avviene al suo interno è destinata all’impotenza. Proprio per queste due ragioni: perché il Pd è irriformabile e la politica è sostanzialmente morta. Queste sono obiezioni esterne, naturalmente. Se vuoi trovare una chiave, devi trovare una fondazione di una nuova soggettività politica. Non puoi prendere una scorciatoia. Se tu pensi che devi costruire una nuova soggettività politica, non è che puoi pensare di supplire al tuo lavoro attraverso l’innesto con il Movimento 5Stelle. L’idea di Bettini mi appare sostanzialmente questa: noi da soli non ce la facciamo a ricostruire un profilo popolare e allora facciamocelo prestare dal populismo. E su questo elemento costruiamo, quello che Bettini chiamerebbe “il campo”, un blocco di forze. Come si vede, però, tutte indotte dalla sfera della politica separata dalla società. Bettini vede che questo governo è una “prigione”. Lui vede chiaramente quello che altri non vedono o fanno finta di non vedere. Però la risposta che dà a questa “prigione”, non è la rottura della gabbia che lo imprigiona, ma invece è un maquillage della prigione medesima. O, forse, all’estremo opposto, Bettini pensi di farsi condurre all’opposizione, con quel blocco di cui abbiamo parlato, per cominciare una traversata nel deserto.

Presidente Bertinotti, alla luce di tutte queste considerazioni, la domanda finale non può che essere questa: esiste ancora vita a sinistra?

Esiste, ma è sommersa e va decodificata. Vede, noi siamo abituati a leggere i fenomeni politici così come si presentano sulla scena politico-istituzionale, quindi destra, sinistra, centro… Questa qui è morta. La dico così: il soggetto politico di sinistra oggi più riconoscibile sono i lavoratori Gkn. E di questa sinistra sommersa ma vera fa parte anche quel mondo solidale, il volontariato, l’associazionismo sociale e culturale, quelle tante e tanti che, fuori dai riflettori mediatici, movimentano le attività extra mercantili. Naturalmente richiederebbe che questa articolata, plurale soggettività di sinistra venisse decodificata e messa in relazione con altro. Con altro di simile, però non con altro di disomogeneo, non con qualcuno che va lì per chiedergli il voto.

Umberto De Giovannangeli

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