IL CARROCCIO E' A PEZZI MA, COME DAGO-RIVELATO, ALLA LEADERSHIP DI SALVINI NON C'E' ALTERNATIVA –

ORSINA: "DUBITO FORTEMENTE CHE LE DUE FACCE LEGHISTE FINIRANNO PER SCONTRARSI DAVVERO. SALVINI DOVREBBE AVERE IMPARATO ..

23.9.2021 dagospia.com lettura3’

(E PERCHÉ AVREBBE ACCETTATO DI ENTRARE AL GOVERNO CON DRAGHI, ALTRIMENTI?) QUANTO VANI SIANO GLI APPLAUSI RACCOLTI SUL PALCOSCENICO, SE POI NON SI METTE UN PIEDE NELLA SALA MACCHINE DEL PAESE. E GLI UOMINI DELLA SALA MACCHINE COME GIORGETTI DOVREBBERO BEN RICORDARE CHE…"

Giovanni Orsina per "la Stampa"

Il divorzio fra realtà di governo e rappresentazioni politiche non nasce certo col gabinetto Draghi. Basti pensare al mitologico governo del cambiamento, il Conte I, che sul palcoscenico annunciava trionfalmente nientemeno che l'abolizione della povertà, mentre nel retrobottega negoziava con la Commissione Europea un modesto deficit del 2,04 per cento. È vero però che oggi quel divorzio si è fatto profondo ed evidente come non mai. I partiti gonfiano il petto, si rivolgono a questa categoria o a quella, ridipingono con colori sgargianti identità e ideologie.

Mentre Draghi decide. Comprensibilmente, le forze politiche fanno una gran fatica a gestire l'abisso che si è aperto fra realtà e rappresentazioni. Fatica il Partito democratico, anche se i suoi tormenti erano più evidenti qualche mese fa di quanto non lo siano adesso. Il Movimento 5 stelle in quell'abisso ci è proprio cascato dentro, e si sta logorando nello sforzo matto di risalirne le pareti.

Ma in questi giorni l'attenzione si concentra in particolare su come la Lega si stia dibattendo fra la politica e il governo. Negli ultimi anni, com' è ben noto, la Lega è stata rappresentata sul palcoscenico pubblico dal prim' attore Matteo Salvini. Che - piaccia o non piaccia - ha riscosso un certo successo: è diventato segretario di un partito che alle elezioni nazionali del 2013 aveva raccolto un magro 4 per cento e in sei anni, alle europee del 2019, lo ha portato al 34.

Oggi, certo, i sondaggi lo danno intorno al 20 per cento: che è poco più della metà di 34, ma pur sempre il quintuplo di 4. Quest' operazione Salvini l'ha compiuta con un partito che, diversamente da tante altre forze politiche cosiddette populiste, aveva alle spalle una lunga tradizione di amministrazione locale e governo nazionale.

La separazione fra rappresentazione teatrale e decisioni concrete che è venuta crescendo nella vita pubblica italiana, così, la Lega l'ha riprodotta tal quale in se stessa: le due componenti paiono aver convissuto l'una accanto all'altra senza mai giungere a sintesi. E tuttavia, non è affatto impossibile che proprio quell'ambiguità sia stata ragione non ultima dell'ascesa leghista dal 4 al 34 per cento. Rendendo ancora più palese e radicale il divorzio fra realtà e rappresentazioni, il governo Draghi non poteva che sollecitare ed evidenziare la natura bifronte della Lega.

Ma proprio perché il divorzio vive nell'intero sistema politico italiano prima ancora che in questo o quel partito, dubito fortemente che le due facce leghiste finiranno per scontrarsi davvero, tanto meno per staccarsi l'una dall'altra. Il prim' attore Salvini dovrebbe avere imparato ormai (e perché avrebbe accettato di entrare al governo con Draghi, altrimenti?) quanto vani e sterili siano gli applausi raccolti sul palcoscenico, se poi non si riesce a mettere almeno un piede nella sala macchine del Paese, e una volta lì non si sa nemmeno da che parte cominciare, per governarlo.

E gli uomini della sala macchine - Giancarlo Giorgetti, per non fare che un nome - dovrebbero ben ricordare la Lega del 4 per cento, ed essere consapevoli di come, in fin dei conti, in democrazia i voti qualcosa ancora contino, e sia molto difficile raccoglierli senza un prim' attore.

Che le due anime della Lega non soltanto non si separino ma anzi imparino a convivere, infine, è importante non soltanto per il partito. Il divorzio fra realtà di governo e rappresentazioni politiche ha ben poco di democratico, e la compiutezza che ha raggiunto col governo Draghi è tollerabile - a malapena - soltanto in virtù della situazione emergenziale. Richiudere quella frattura è essenziale e urgente, ed è una delle partite più rilevanti che la democrazia italiana dovrà giocarsi nei prossimi diciotto mesi. Una partita in cui la Lega rimane un giocatore primario.

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