Frattura in Forza Italia, una cinquantina con Brunetta e Gelmini in Parlamento

"Una spaccatura così non si vedeva dai tempi di Alfano”, ma nessuno parla di scissione. Con la solita eco: "Siamo tutti berlusconiani"

23.10.2021 Pietro Salvatori, huffpost.it lettura4’

“Il centrodestra unito non c’è” dice il ministro Renato Brunetta, e con lui sono d’accordo le colleghe Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, ma anche un buon numero di parlamentari, sia alla Camera che al Senato. Assicurano che non ci sono velleità di scissioni, “abbiamo aperto al confronto interno”, “vogliamo dire la nostra sulla linea del partito”. Funziona da sempre così in Forza Italia: si discute, per lo più sotto traccia, si avanzano proposte e idee, poi parla Silvio Berlusconi e senza tante storie tutti si mettono sull’attenti. Il problema è che da quando il Cavaliere ha mollato una presa quotidiana, vuoi per l’età che avanza, vuoi per gli acciacchi di salute, è il suo inner circle a venire accusato di filtrare quel che gli arriva, perorare le cause dei propri uomini, tutelare proposte e poltrone solo di una parte degli azzurri.

“Antonio, se fai il coordinatore va benissimo, se fai il capo corrente no” è l’accusa che si è sentita rivolgere Tajani, il coordinatore accusato di tenere gelosamente in mano il mazzo di chiavi per accedere ad Arcore. Con lui nel mirino dei malpancisti è finita anche Licia Ronzulli, la fedelissima che del Cav cura l’agenda. In quella che è sembrata un’ostentazione di forza, i due hanno sparato sui social le foto sorridenti del volo condiviso con Berlusconi verso Bruxelles e il vertice del Ppe. Come a dire: comanda Silvio, ci legittima lui.

 

Brunetta e i suoi non ci stanno. Perché l’unione e l’appiattimento su posizioni sovraniste sono la causa, a sentir loro, di risultati elettorali che sembrano una vecchia schedina: Trentino 1%, Emilia Romagna 2%, Roma 3% e spicci. Ma su quell’unione e su quell’appiattimento non hanno mai potuto dire la loro. Il ministro della Pubblica amministrazione in queste ore lamenta che solo dopo il casino scoppiato sull’elezione del nuovo capogruppo Berlusconi lo abbia ascoltato, dopo una serie di telefonate senza risposta. Gelmini il fatto che per venti giorni ha chiesto di vedere il Cav per discutere della situazione della Camera, sbattendo sempre sul filtro del cerchio magico, e additando Tajani come tappo alla fine dell’imbuto.

“Una spaccatura così non si vedeva dai tempi di Alfano”, dicono nel partito, con la differenza che allora c’era da decidere “semplicemente” se continuare o meno a sostenere un governo, oggi la partita è su che idea di paese si voglia costruire intorno alla bandiera tricolore da sempre simbolo nel partito.

E dunque fare il contrappeso moderato a Lega e Fratelli d’Italia rischiando di rimanere schiacciati nella morsa tra i due, o provare a costruire qualcosa di diverso che con gli alleati sovranisti dialoghi alla pari, cercando di imbrigliarne gli eccessi e arginarne le derive boh vax?

Brunetta nel cuore della settimana ha riunito un drappello di parlamentari per perorare la seconda via. E per iniziare a organizzare nel partito un modo per incidere di più.

Il pallottoliere ne accredita almeno una trentina - su 77 - vicini alle posizioni dell’ala ministeriale.

Ci sarebbero i deputati Porchietto, Mazzetti, Tartaglione, Russo, Sarro, Casciello, Versace, Cappellacci e Baroni, oltre ovviamente a quel Sestino Giacomoni che è stato per qualche ora il possibile candidato capogruppo da opporre a Paolo Barelli, sodale storico di Tajani e scelto dal coordinatore per l’incarico, ottenuto solo dopo la benedizione di Berlusconi che ha evitato di andare alla conta. Ma sarebbero una ventina - su 55 - anche al Senato le colombe che mal tollerano l’abbraccio delle camicie verdi, guidate tra gli altri da Andrea Cangini.

“Siamo tutti berlusconiani”, spiegano. Il problema è sempre quello: il re si è circondato di una corte di persone che persegue un interesse più personale che collettivo: “Perché sono premiate sempre le stesse quattro persone, che fanno e disfano a piacimento, mentre gli altri sono tagliati fuori?”. È questa la principale rivendicazione per esempio dei ministri, che hanno con sdegno respinto le accuse di essersi “venduti a Draghi”, arrivate dai falchi più duri del partito.

Nella riunione con i suoi Brunetta l’ha messa così: “Non è possibile che il partito lo governi sempre chi perde, perché il nostro elettorato dovrebbe votarci se facciamo la brutta copia di partiti che già esistono?”. In sostanza quel che ha detto al Cavaliere, che ha incontrato prima che volasse a Bruxelles: “La situazione è seria, e i prossimi mesi saranno decisivi, devi ascoltare queste istanze, non si può far finta di niente”.

Nella delegazione di governo i ministri sono tuttavia in minoranza. I sottosegretari Giuseppe Moles, Deborah Bergamini, Gilberto Pichetto Fratin e Giorgio Mulè non hanno seguito la rivolta, così come il neo presidente della Calabria e ex capogruppo a Montecitorio Roberto Occhiuto. Furibonda Ronzulli: “Tutto questo è un insulto all’intelligenza del presidente”. Ecco Mulè: “La linea la detta Berlusconi e nessun altro”.

Sarà, ma una linea di frattura così netta nel partito di Berlusconi non la si vedeva da anni. Una scissione al momento non è contemplata, la battaglia è per la collocazione e il controllo della compagine azzurra. Un controllo che potrebbe sfuggire di mano persino al Cav. Perché il monito che le colombe stanno facendo filtrare in queste ore è sempre e solo uno: “Se non cambia nulla altro che unità del centrodestra nel voto per il successore di Mattarella. Aspettatevi tanti franchi tiratori”.

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