Intervista a Gianni Cuperlo: “Non basta cambiare Letta, il Pd va rifondato”

Ti dico che troppe volte siamo apparsi un partito dell’establishment e del potere… sopprimi ogni sostegno economico ai partiti legittimando la percezione di una ruberia seriale, manometti la Costituzione solo per far nascere un governo che ti veda partecipe anche in assenza di un mandato popolare…

Umberto De Giovannangeli — 28.9. 2022ilriformista.it lett.6’

Gianni Cuperlo, presidente della Fondazione Pd, neoeletto parlamentare Dem, andiamo dritti al punto. Mai come questa volta il successo della destra era atteso, persino annunciato. Basta questo a renderlo più sopportabile?

No. Semmai è vero l’opposto e capisco il dovere di interrogarsi su come avremmo potuto attrezzare una strategia in grado di contenere l’onda invertendo una tendenza figlia non solo delle ultime settimane, ma degli ultimi dieci anni. Al fondo il campo largo era una risposta a tutto questo.

Detta così sembra una assoluzione della linea di Enrico Letta.

La linea di Letta è stata condivisa da tutti i vertici del Pd. Nessuno di noi può alzarsi e dire “Io non c’ero”.

Quindi nessun errore?

Al contrario, errori vi sono stati e il primo risale al taglio di un terzo del Parlamento senza garanzie di una diversa legge elettorale. Con pochi altri nella direzione votai No a quel referendum mentre il governo Conte 2, in buona compagnia, giurava che in un paio di mesi avremmo avuto la nuova legge e un pacchetto di riforme collegate. Risultato, si è votato con la legge peggiore concedendo alla destra di stravincere nei collegi uninominali, il tutto mentre Letta era ancora domiciliato a Parigi. Lo dico perché le radici di questa sconfitta affondano lontano, in particolare nell’avere rincorso il governo anche in assenza di un consenso nel paese.

Mi stai dicendo che della antica formula “partito di lotta e di governo” è sopravvissuto solo il governo?

Ti dico che troppe volte siamo apparsi un partito dell’establishment e del potere.

Resta che sul fronte delle alleanze, sia politiche che tecniche, avete ignorato la ratio dell’osceno Rosatellum.

Anche su questo conviene distinguere. Penso che Conte avesse già deciso di giocare la partita in solitaria come poi ha fatto raccogliendo un consenso superiore alle attese. In questo si è mostrato meno naïf dell’etichetta di avvocato con la pochette. Ha scelto di far cadere Draghi nonostante alcune misure di quel governo, dal salario minimo a una mensilità in più in busta paga, fossero in asse con le loro richieste. Si è convinto che dopo una legislatura al governo, prima con la Lega, poi con noi, e infine con noi, Lega e Forza Italia, l’unico modo per scansare l’accusa del “siete uguali agli altri” era riverniciare la facciata del movimento rivendicando quel reddito di cittadinanza che solo chi non sa cosa sia la povertà poteva voler cancellare. Diciamo che quella di Conte è stata la prima sperimentazione di bonus 110% applicata a una forza politica. Quanto al come vorrà spendere quel consenso è un discorso che dovremo affrontare nella sfida dell’opposizione.

Calenda invece un patto lo aveva sottoscritto con tanto di bacio salvo rimangiarselo tre giorni dopo.

Lasciamo stare il bacio che da duemila anni non porta bene. Per Calenda vale un ragionamento speculare a Conte. Nel caso suo credo abbiano pesato le pressioni interne e l’idea che un’alleanza col Pd gli avrebbe impedito di pescare nel bacino dei delusi di Forza Italia. In questo modo ha prodotto un danno a noi, soprattutto nei collegi contendibili, senza un gran vantaggio per sé. Peccato, ha contribuito a consegnare l’Italia alla destra.

Torniamo ai numeri della sconfitta e al Pd. Cosa vuol dire allungare lo sguardo agli ultimi dieci anni? Che la débâcle viene da lontano?

Vuol dire che se per anni da sinistra cedi agli impulsi peggiori dell’antipolitica e per farlo demolisci i pilastri che definiscono chi sei – rimuovi il nodo della tua identità, fondi sulla comunicazione, talvolta persino sull’estetica, la tua immagine, sopprimi ogni sostegno economico ai partiti legittimando la percezione di una ruberia seriale, manometti la Costituzione solo per far nascere un governo che ti veda partecipe anche in assenza di un mandato popolare, teorizzi la fine delle ideologie senza accorgerti che la destra ne incarna una alquanto pericolosa – ecco, se cedi a questa visione perdi l’aggancio con le persone e la loro vita.

Rino Formica su questo giornale ha spiegato il tutto con un deficit di cultura politica, sei d’accordo?

Da vecchio socialista ha ragione quando richiama il legame vitale che ha unito coscienza di lotta a coscienza di classe. Aver strizzato l’occhio al populismo pensando di addomesticarlo in casa nostra ha favorito le culture reazionarie che sull’assenza di una coscienza di parte fondano il loro consenso.

L’analisi è impietosa, ma quale dovrebbe essere la risposta? Letta ha dichiarato che non si ricandiderà al congresso, basterà cambiare il segretario?

No, un cambio al vertice non può bastare e solo pensarlo equivale a spazzare la polvere sotto al tappeto.

Ma tu condividi la sua decisione di passare la mano come ha detto a caldo?

Verso Enrico provo stima, riconoscenza e rispetto per le sue scelte. Ma lo ripeto, pensare che una sconfitta come questa si affronti con un cambio del vertice lasciando ai notabilati locali e nazionali il potere di prima sarebbe un perseverare nell’errore. Puoi cambiare allenatore ogni sei mesi ma se la squadra è identica e gioca con la stessa mentalità continuerai a perdere.

Quindi?

Quindi spero che Enrico ci ripensi e vorrei che il partito affrontasse finalmente questa discussione. Vorrei che il congresso non si riducesse a una conta ai gazebo, che si realizzassero una partecipazione e un confronto sull’identità del Pd, non una campagna di arruolamento a questo o quel capo di turno.

Sembra più l’annuncio di una vera e propria “rifondazione”

Perché lo è, meno di questo e tutto è destinato a rimanere com’è. Dopo il voto e con il governo più a destra della storia repubblicana, non si parte dalla coda, dalle primarie. Penso che noi dobbiamo avere un congresso diviso in momenti distinti. Il primo sia un confronto sulla visione del paese e sulla natura di un Partito Democratico ripensato e da rifondare. Dev’essere l’occasione per ricollocare le nostre ragioni, i valori, le stesse alleanze sociali, dentro la nuova stagione storica che si è aperta.

Servirà comunque una guida per il “dopo”?

Certo, ma sarà per una volta il risultato di un confronto esplicito tra idee alternative, con un pluralismo fondato sul pensiero e l’identità anche dei programmi. Io dico, animiamo questa discussione, che sia vera, aspra se serve, ma sincera, cosicché alla fine di quel primo momento tocchi all’impianto col consenso maggiore selezionare la leadership e una nuova classe dirigente. A me interessa che avvenga nella chiarezza sinora mancata su chi siamo e chi vogliamo rappresentare perché in assenza di questo nessun leader saprà restituire fiducia ai milioni che l’hanno persa.

Si capisce che pensi a un Pd ancorato a sinistra?

Ma vedi, se ancora c’era chi non lo vedeva, le urne hanno detto cosa produce una sinistra scissa dal suo popolo. Da parte sua la destra, una volta preso atto di un liberismo in affanno, è ripiegata sull’antico modello corporativo e liberticida. La conseguenza è una stagione di affidamenti leaderistici che combina picchi di consenso a cadute rovinose. Ci siamo chiusi alle spalle il globalismo dei privilegiati o dei “migliori”, ragione del divorzio tra la sinistra e parte del suo insediamento. Ora è l’Occidente a vedere stringersi un cappio attorno al collo da un fronte che aggrega numericamente una maggioranza della popolazione mondiale e questa rivoluzione, tutt’altro che pacifica, impone con ancora più urgenza una riscrittura delle identità e delle culture a cominciare da noi.

Da dove ripartire allora?

Dalla consapevolezza che solo con una coscienza di parte la sinistra recupera l’orgoglio di sé e una reputazione che ha smarrito.

Tradotto?

Tradotto vuol dire spiegare quali compensazioni prevedi per una transizione ecologica decisiva ma che avrà dei costi sul fronte dell’occupazione e dei redditi, e poi mettersi a difesa e promozione delle libertà individuali antiche e recenti, recuperare le categorie di pace e disarmo condannando il neo-imperialismo russo e facendo dei diritti umani globali la bussola da seguire, prendere atto che il termine conflitto non è una bestemmia, ma l’anima di una democrazia capace di mediare tra interessi e bisogni diversi. Vuol dire che nei mercati rionali non ci vai solo a chiedere una preferenza, ci vai per condividere la tua natura. Lo stesso davanti ai luoghi della produzione che non sono estinti, ma dove tanti pensano che i veri estinti siamo noi. Avere interpretato la politica senza una vera cultura di supporto, inseguendo gli umori della piazza, persino quella artificiale che è la televisione, ha desertificato i sentimenti, letteralmente il modo di sentire, di milioni di donne, uomini, giovani, rendendoli orfani di un “noi” e lasciandoli in balia al migliore piazzista di turno. Ripartiamo da qui, cambiando e aprendoci al buono che sta fuori, e mettiamoci a camminare sul sentiero giusto. Ma adesso.

E in tutto questo sarai della partita?

Sì perché quella sinistra venuta meno è anche la mia piccola storia. Per questo ci sarò senza deleghe in bianco a nessuno.

Commenti   

#1 walter 2022-09-28 19:16
«Il centrosinistra ha smesso di avere una qualsiasi missione di società e qualunque progetto di riforme strutturali. Il Pd dimette sia l'uno sia l'altro e assume a nuova divinità la governabilità. Sia da vincitore sia da vinto, è sempre stato al governo perché il governo è la sua ragione d'esistere.
Bertinotti ilgiornale

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