Pulpiti & prediche. Meloni verso la presidenza del Consiglio, la presidente del Pd verso casa: un apologo

Mentre la leader di Fratelli d’Italia si guadagna l’investitura a Palazzo Chigi, Valentina Cuppi (terza in lista) non è stata eletta. Finché a sinistra la retorica sulla parità di genere sarà utilizzata in questo modo, buon gusto consiglierebbe almeno di non fare le pulci agli altri

Francesco Cundari 29.9.2022 linkiesta.it lettura2’

Si potrebbe scrivere un romanzo sul fatto che nella stessa tornata elettorale Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, si è guadagnata sul campo la nomina a presidente del Consiglio, mentre Valentina Cuppi, presidente del Partito democratico, non è stata neanche eletta in Parlamento, essendo stata candidata soltanto in terza posizione nella lista proporzionale di Bologna.

Di sicuro nessun romanziere avrebbe potuto inventare un finale più illuminante e istruttivo, quasi didascalico, per una campagna elettorale segnata anche dalla polemica sulla differenza «tra una leadership femminile e una leadership femminista», per usare le parole di Elly Schlein.

Il modo in cui la figura della giovane sindaca di Marzabotto è stata scelta e catapultata in quella posizione dai vertici del Partito democratico, durante la segreteria di Nicola Zingaretti, è un esempio da manuale di come la retorica sui giovani e le donne possa essere utilizzata allo scopo di perpetuare e confermare gli equilibri esistenti, a tutto danno dei giovani e delle donne.

Preceduta da imbarazzanti retroscena su dirigenti intenti a compulsare elenchi in cerca di giovani sindache di piccoli centri, neanche si trattasse del casting per una fiction sulla politica locale, e poi costretti a tesserarla di corsa, essendosi accorti all’ultimo momento del rischio di eleggere presidente l’esponente di un altro partito (Sel), la presidenza Cuppi è passata per il resto, fino a ieri, del tutto inosservata. Confermando l’impressione che esattamente questo fosse il risultato desiderato da chi ne aveva favorito la scelta.

Il culmine lo si è raggiunto però con l’arrivo di Enrico Letta. Desideroso di cambiare i capigruppo parlamentari (uno in particolare, Andrea Marcucci, troppo legato a Matteo Renzi), ma non volendo dirne apertamente il motivo, il nuovo segretario ha infatti spiegato la necessità di sostituirli con il problema che il Pd non poteva avere un vertice interamente maschile. Più e più volte, in tv e sui giornali, Letta ha ripetuto queste parole, senza che a nessuno venisse neanche in mente di osservare che la presidente del Pd era una donna. Come se non esistesse.

Qualunque cosa si pensi della leadership di Meloni e delle sue idee, finché a sinistra la retorica sulla parità di genere (e sul rinnovamento generazionale) sarà utilizzata in questo modo, degradando giovani e donne al ruolo di burattini intercambiabili e manipolabili a piacimento (e fino a quando giovani e donne di sinistra si presteranno a questo gioco), buon gusto consiglierebbe almeno di non fare le pulci agli altri, osservando sull’argomento un rispettoso silenzio.

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