Ora Salvini compatta la Lega. Gli eletti lo vogliono ministro

-Capitan Salvini sta affondando ma la Meloni gli nega i soccorsi. Dal trionfo alla disperazione

30.9. 2022 – Boezi, Guzzanti il giornale.it lett6’

Il leader del Carroccio riunisce i neo-parlamentari. Netta smentita alle ricostruzioni sull’appoggio esterno

1-Ora Salvini compatta la Lega. Gli eletti lo vogliono ministro

Matteo Salvini, riunendo tutti i parlamentari leghisti eletti al Teatro Sala Umberto di Roma, invia un segnale di compattezza che può essere rivolto a due attori: all'esterno e al resto del centrodestra. Rispetto al suo partito non ha bisogno poi di grosse manifestazioni di potenza, considerando che la Lega gli ha rinnovato la fiducia appena tre giorni fa. La comunanza d'intenti con il presidente di Fdi non è in discussione e non lo è mai stata. Stesso discorso per quella con il presidente e leader indiscusso di Forza Italia: «Auguri a Silvio Berlusconi, caro amico e grande italiano», scrive via social il capo del Carroccio per il compleanno del Cav. Il leader della Lega ha una prospettiva chiara in testa: «Avanti per 5 anni, con Giorgia Meloni c'è grande sintonia», dice subito. E su certe ricostruzioni giornalistiche che vedrebbero la Lega porre la conditio sine qua non del Viminale, Salvini usa la stessa immediatezza: «Appoggio esterno? Quante sciocchezze che scrivete», fa presente l'ex ministro dell'Interno, rivolgendosi ad alcuni giornalisti. Non saranno certi retroscena fantasiosi a scalfire la volontà di governare uniti per l'intera durata della legislatura. Concetto che viene ribadito anche nella dichiarazione video: «La sinistra e i suoi giornali si rassegnino. Gli italiani che hanno votato - rimarca l'ex inquilino del Viminale - hanno scelto a milioni il centrodestra unito. Stiamo lavorando, tutti insieme, come Lega giorno e notte, per dare risposte ai problemi del Paese». Semmai il tema, una volta individuate le cose da fare nell'arco dei primi cento giorni, sarà condividere i mezzi con cui procedere: «Lavoro, pensioni, energia, bollette e cartelle esattoriali che dovranno essere fermate sono le priorità. Anche restituire sicurezza, legalità e bloccare gli sbarchi che continuano in queste ore saranno tra le nostre priorità nel prossimo governo», aggiunge. Una considerazione di peso arriva via Twitter: «La Germania annuncia un maxi intervento da 200 miliardi di euro (!) per bloccare gli aumenti di luce e gas. Urge intervenire anche in Italia, altrimenti le nostre aziende non potranno più competere e lavorare», incalza Salvini sul tema, come del resto fa da parecchie settimane.

L'attesa, ora come ora, è per la formazione dell'esecutivo. E la sensazione è che nel centrodestra tutto si voglia tranne perdere tempo. Il «clima», per stessa ammissione del senatore Roberto Calderoli, è «ottimo e abbondante», mentre «le trattative sono appena iniziate». Servirà coprire l'arco temporale tecnico per definire la squadra dell'esecutivo ma di problemi non ce ne sono. Il summit leghista dura circa un'ora e mezzo. Lo scroscio di applausi per il segretario e la richiesta di tornare all'interno dell'esecutivo provengono entrambi da senatori e deputati. Gli ambiti individuati sono sicurezza e immigrazione. Salvini si rivolge ai suoi: «Faremo un governo di centrodestra, non date peso alle falsità della sinistra e dei suoi giornali che inventano dei virgolettati». Poi si riunisce con Giancarlo Giorgetti. L'immagine plastica della giornata resta quella unitaria, con il leader e l'ex ministro dello Sviluppo economico che escono all'unisono dal Sala Umberto- Il secondo rilascia un commento a chi prova a pungolarlo: «Ci sarà Salvini al governo? Ma siii...». E sull'appoggio esterno, il dimissionario numero uno del Mise cita Franco Califano con «tutto il resto è noia». Che la Lega resti fuori non è contemplato. Francesco Boezi ilgiornale

2--Capitan Salvini sta affondando ma la Meloni gli nega i soccorsi. Dal trionfo alla disperazione

Paolo Guzzanti — 30.9.2022 ilgiornale

Dal trionfo alla disperazione, Matteo Salvini sta vivendo una condizione esistenziale per lui del tutto nuova: non soltanto la cocente sconfitta elettorale, ma la strada sbarrata per entrare al governo col vecchio ruolo di ministro degli Interni. Motivo: Giorgia Meloni a quanto pare non ce lo vuole e per una e una sola ragione: “Ma che, stamo a scherzà? Quello è amico de Putin e noi stamo dall’altra parte: nello schieramento internazionale non si devono dare segnali ambigui e Salvini agli Interni sarebbe un segnale ambiguo”. Si sa che poi i due si sono incontrati e hanno discusso per un’ora e sono corse varie voci su altri possibili collocamenti del leader della Lega che però punta i piedi e non ne vuol sapere.

Reggere il Viminale significa stare sulla tolda dell’ammiraglia da cui combattere la guerra contro gli immigrati e che produce gli unici consensi rimasti alla Lega. Il disastro delle forniture di grano ucraino e russo si sa che può portare a una fuga di massa da Paesi come l’Egitto e la Tunisia e che il Mediterraneo potrebbe affollarsi di disperati fuggiaschi. Come diceva un personaggio indimenticabile di Alberto Sordi, “Piatto ricco, mi ci ficco”: e Salvini sente che il Viminale potrebbe trasformarsi in un piatto ricchissimo per vietare gli approdi. La posizione della Meloni, come è noto, è a favore di una comune posizione europea che prevede un blocco navale per avere il controllo dei flussi e non sappiamo se Salvini perderà o vincerà, o se dovrà contentarsi del ministero dell’Agricoltura.

Vedremo dunque come andrà a finire, ma intanto assistiamo a una vera tragedia umanitaria: quella di Matteo Salvini che si ritrova con un pugno di mosche dopo aver sperimentato l’ebbrezza di livelli di consenso che gli permisero nel 2018 di infischiarsene di Berlusconi e della Meloni (allora al 4,5 per cento) e di stipulare un accordo a sorpresa con l’arcinemico pentastellato Luigi Di Maio, che introdusse lo sconosciuto personaggio Conte presidente del Consiglio prestanome, visto che né Di Maio né Salvini potevano consentire all’altro quella carica. La fine è nota: di quell’alleanza, Di Maio, dell’allora sconosciuto avvocato Giuseppe Conte che oggi impunemente dichiara di non riconoscere il risultato elettorale (“la maggioranza uscita nelle urne non corrisponde alla maggioranza del paese”) ponendosi in una posizione politicamente eversiva da nuovo Catilina. Salvini e Conte hanno sia litigato che fatto paci separate, ma certo è che il Paese al voto non ha dimenticato le sue responsabilità nell’aver avviato una svolta catastrofica della Repubblica.

Del resto la sua immagine – svettante ai tempi del Papeete – si è andata appannando, i suoi comizi progressivamente desertificati, specialmente nel Sud che aveva conquistato con geniali promesse mai realizzate: nel Meridione è stato battuto proprio dal giocatore cui lui ha aperto la strada a Giuseppe Conte che ha garantito il reddito di cittadinanza a chiunque lo chieda, mentre tutto il settore del turismo è malconcio perché mancano camerieri, cuochi e addetti alle pulizie. Intanto, al Nord e specialmente in Lombardia e Veneto covava una sorda rivolta contro la trasformazione della Lega Nord, che difendeva gli interessi del Nord, in una Lega nazionalista alleata con la Le Pen che è vista in Europa e nel mondo come il peggior pericolo di un ritorno al razzismo.

I consensi sono andati in picchiata mentre il M5s, che tutti si aspettavano scomparisse, benché dimezzato è rimasto in piedi e fronteggia la Lega salviniana nazionalista. Risultato: nel duello fra Meloni e Salvini per la raccolta del consenso nazionalista, stravince la Meloni a tal punto che il Veneto e larga parte della Lombardia parlano (politicamente) con il marcato accento romanesco di Giorgia Meloni. Ai tempi di Umberto Bossi un evento del genere difficilmente sarebbe potuto accadere ma con Salvini è accaduto. Una disfatta. E Matteo non è abituato alle disfatte.

Proviamo quindi ad osservare Salvini come essere umano. Anche a guardarlo, è un monumento alla frustrazione ed ha evitato di riconoscere una vittoria politica della Meloni, che ha liquidato come un’ovvia conseguenza della rendita da posizione dell’opposizione. La Meloni all’opposizione è diventata gradualmente la figlia prediletta, la “darling” di Mario Draghi che ha speso ottime parole per lei in Europa, placando gli scatti irosi di Ursula Von der Leyen e accelerando i pagamenti. Draghi non sarebbe mai intervenuto a favore di Salvini cui ha alluso trattandolo da marionetta dei russi e su quel fronte il povero Salvini si è trovato sempre scoperto e in ritardo: dalle magliette putiniane e dissennate dichiarazioni secondo cui “in Italia di Putin ce ne vorrebbero tanti”, ha dovuto fare i conti con la realtà e si è difeso e si sta difendendo dalla realtà.

Salvini ha sviluppato nel tempo un linguaggio difensivo usando parole spesso stucchevoli come “bimbi” anziché bambini, le sue “madonnine” stuprate di bacini e la costruzione di frasi oleose e al tempo stesso sbrigative che dessero la sensazione al pubblico di trovarsi di fronte a un uomo pratico, che si rimbocca le maniche, che non ha tempo da perdere con le ideologie, che pensa soltanto al carrello della massaia e certamente ai tremendi rincari energetici, ma defilandosi il più possibile dai giudizi sulla guerra di Putin limitandosi a dire che quando c’è una guerra bisogna assolutamente condannare l’aggressore. Ma di malavoglia. E così alla fine Salvini si trova in una posizione che è stata già sperimentata da molti leader: quella della caduta dal piedistallo, ed è lì che si varrà la sua nobilitate perché la sconfitta richiede forti dosi di leadership e questo il segretario della Lega lo sa e sta facendo sforzi notevoli e umani per far viaggiare insieme la consapevolezza dello stato delle cose e la tempra dell’uomo forte.

Certo, Salvini aveva dato per scontata una posizione nel prossimo governo di massimo rilievo al Viminale e adesso scopre che crescono le difficoltà e le resistenze, nazionali e probabilmente anche internazionali. Potrebbe darsi che riesca a vincere le resistenze e a succedere alla Lamorgese come la Lamorgese successe a lui, ma è una partita con poche speranze. Giorgia Meloni si è sentita inoltre molto irritata dal tono paternalistico con cui Salvini ha ringraziato gli elettori del centrodestra e quindi anche di FdI, come se fossero tutti equivalenti e dunque anche suoi. Le differenze caratteriali sono venire allo scoperto e preso i fatti diranno chi, fra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, è un vero uomo-

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