Le mani sulle bancheLe conseguenze economiche della deriva ungherese

La sfrontatezza di Giorgetti e Salvini nell’intervenire in modo così esplicito sull’offerta di Unicredit per Bpm fa pensare più all’Ungheria di Orbán

Francesco Cundari 26.11.2024 linkiesta.it lettura2’

che alle passate guerre politico-finanziarie del nostro Paese, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

In attesa di vedere come andrà a finire il tentativo di acquisire la tedesca Commerzbank, operazione che in Germania si scontra con le resistenze della politica e ora anche con la crisi di governo, Unicredit ha lanciato un’offerta pubblica di scambio sul Banco Bpm, sollevando reazioni a dir poco sguaiate da parte del governo. Stavo per dire della Lega, come scrivono molti giornali, ma credo non sia del tutto esatto, perché alle dichiarazioni di Matteo Salvini, gravi per i toni e per la sostanza, si devono aggiungere quelle di Giancarlo Giorgetti, che oltre a essere il vicesegretario della Lega è anche, e soprattutto, il ministro dell’Economia (e si potrebbe discutere, tenendo a mente la complessa gestazione del governo, quanto in quel ruolo ci sia arrivato perché in quota Lega: io direi poco, e men che meno in quota Salvini). Giorgetti ha detto che l’operazione era stata «comunicata» ma «non concordata» con il governo, ventilando l’utilizzo del famigerato golden power (strumento introdotto nel 2012 al posto della vecchia golden share, con un perimetro più limitato, per consentire al governo di tutelare le attività strategiche).

Salvini è arrivato a definire Unicredit «una banca straniera» e a sollecitare ruvidamente l’intervento della Banca d’Italia, ma ha anche detto piuttosto chiaramente quale sia il vero problema: «Non vorrei che qualcuno volesse fermare l’accordo Bpm-Mps per fare un favore ad altri». Dieci giorni fa, infatti, come ricorda su Repubblica Francesco Manacorda, il Banco Bpm si è mosso per acquistare una quota del Monte dei Paschi di Siena e «al suo fianco si sono schierati con altre partecipazioni Francesco Gaetano Caltagirone e la Delfin degli eredi Del Vecchio, due forze finanziarie non esattamente ostili al governo», suscitando grida di giubilo per il nascente «terzo polo» bancario, che avrebbe dovuto rompere il duopolio Intesa-Unicredit e aumentare la concorrenza. Ma forse anche per il fatto che in tal modo «un tradizionale feudo creditizio della sinistra» sarebbe entrato in una costellazione di diverso orientamento, per dir così.

Lascio al lettore decidere quale di queste due motivazioni abbia avuto maggior peso nelle reazioni della maggioranza di governo. Per chi abbia ancora qualche ricordo di che cosa si scatenò ai tempi dell’operazione di mercato tentata dall’Unipol di Giovanni Consorte sulla Banca nazionale del lavoro, e contro i dirigenti della sinistra, peraltro all’opposizione, per un aggettivo o un avverbio di apprezzamento, lo spettacolo è a dir poco surreale, qualunque cosa si pensi di Unicredit e delle sue operazioni, degli argomenti a favore di una maggiore concentrazione (in chiave europea) e di quelli a favore di una maggiore concorrenza (in chiave italiana) nel settore bancario. Ricordo pure che, al termine di quella vicenda, la Banca nazionale del lavoro è finita sotto il controllo del gruppo francese Bnp Paribas, a proposito di italianità e interesse nazionale. Comunque vada a finire, la sfrontatezza del centrodestra nell’intervenire in modo così esplicito in queste vicende fa pensare però più all’Ungheria di Viktor Orbán che alle passate guerre politico-finanziarie del nostro paese. E più che a un’indebita ingerenza somiglia a una confessione.

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