La sinistra mette in scena le paralimpiadi della politica: dopo il flop resta chiusa in una gabbia ideologica
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Il 7 giugno 2025 sarà ricordato come il giorno del disonore, al pari di quella seduta del novembre del 1956: socialisti detti “carristi”) si levarono in piedi al grido “Viva l’Armata Rossa”.
Giuliano Cazzola 16.6. 2025 alle 09:16ilriformista.it lettura3’
Raccontano che nei Campi Elisi dei Giusti i grandi leader della sinistra del secolo scorso abbiano iniziato a ridere il 6 giugno e non abbiano ancora smesso. Tutti si rivolgono a Pietro Nenni per quell’insegnamento (piazze piene, urne vuote) che il leader socialista non è mai riuscito a impartire alla sinistra. Mai come adesso le sue predizioni hanno avuto un riscontro tanto tempestivo, considerando le imprese delle opposizioni dal 6 giugno ad oggi (e non è ancora finita).
Le paralimpiadi della politica
In poche giornate si è svolta una sorta di paraolimpiade della politica, dove hanno gareggiato (absit iniuria verbis) leader affetti da gravi handicap. Il primo giorno si sono riuniti a Milano i cerchiobottisti, ovvero quelli di una botta ad Israele ed una ad Hamas e agli antisemiti, tuttora dediti – per salvarsi l’anima – al mito dei “due popoli due Stati”. Eroi per una notte, gli esponenti della sinistra già riformista, ora ferroviaria, si sono precipitati a Roma per farsi vedere in Piazza San Giovanni, affermando che le due iniziative erano complementari. Tutto sommato, al di là degli aspetti da comica finale, il loro era un intento nobile: quello di distinguersi nella misura del possibile dalla Giornata della Vergogna che si è svolta il giorno dopo: mai la sinistra era scesa così in basso, al punto di distorcere i fatti e attingere acqua dal fiume carsico dell’antisemitismo.
Il giorno del disonore
Il 7 giugno 2025 sarà ricordato come il giorno del disonore, al pari di quella seduta del novembre del 1956 quando, di fronte al massacro degli insorti ungheresi, i parlamentari del Pci (e un pezzo di socialisti detti “carristi”) si levarono in piedi al grido “Viva l’Armata Rossa”.
Dal 7 ottobre 2023 ad oggi non c’è stato mai un week end che non fosse caratterizzato per una iniziativa, spesso con episodi di violenza a sostegno della Palestina in lotta contro il colonialismo israeliano, tanto che ormai si è consolidata persino una definizione (pro-Pal) per contrassegnare questi movimenti che hanno dilagato ovunque: nelle Università (dove le autorità accademiche si sono spesso comportate come ai tempi del voto politico nell’anticamera del terrorismo) al pari dei Centri sociali ( dove stanno i nuovi fascisti).
Nessuna attenzione all’Ucraina
Non c’è mai stata un’attenzione minimamente paragonabile per quanto sta avvenendo in Ucraina. Le poche manifestazioni organizzate hanno sempre dato l’impressione che si facessero soltanto perché non se ne poteva fare a meno, con partecipazioni da cartolina precetto e con l’impudenza di mettere al centro delle poche iniziative non la solidarietà, ma il disarmo dell’Ucraina, in nome di un’iniziativa diplomatica che era un eufemismo al posto della parola resa. Poi, si sa, le tragedie finiscono in farsa. Per commentare la sonora sconfitta nei cinque referendum dell’8 e del 9 giugno, la sinistra ha fatto carte false, ha messo in dubbio le regole, si è esercitata in bilanci da bancarottieri. Quando 40 anni or sono il Pci fu sconfitto nel referendum sulla scala mobile, venne inventata la formula del “successo non vittorioso”, che è poi la stessa farina del sacco di Pier Luigi Bersani dopo le elezioni del 2013.
La zappa sui piedi
I referendari si sono dati la zappa sui piedi proprio perché avevano attribuito effetti speciali al successo dei referendum, e il fatto che siano stati disertati da una grande maggioranza degli elettori rende ancora più cocente – e di natura politica – la sconfitta. E non si venga a dire che è colpa della maggioranza e di Giorgia Meloni che hanno predicato l’astensione. Si vede che gli elettori si sono fidati più della premier che della sinistra politica e sindacale. Del resto la Dottrina Boccia ci ha messo tanto del suo. Il capogruppo del Pd al Senato ha sostenuto che se fossero andati a votare 12,4 milioni di elettori (quanti erano i voti del centro destra nelle elezioni politiche), questo risultato sarebbe stato un “avviso di sfratto” per la maggioranza. In sostanza proprio perché Boccia attribuiva alla sinistra e al Sì tutti i partecipanti al voto, i partiti di centro destra – per nulla interessati alla battaglia – non potevano che invitare all’astensione.
Votanti e astenuti
Inoltre, se la sinistra si attribuisce tutti i votanti (anche i quattro gatti del No), la destra ha buon gioco ad attribuirsi tutti gli astenuti. Quanto al referendum sulla cittadinanza, era il solo che sarebbe dovuto passare, ma Riccardo Magi deve fare “mea culpa”. Chi pretende credibilità non si associa a Landini e alla “banda del buco”, tanto più che il M5S ha pensato bene di sfilarsi dalla prima linea col pretesto della libertà di voto: una facoltà che comporta anche di non recarsi al seggio o di votare No. Così oggi, seguendo la Dottrina Boccia, la sinistra deve mettere in conto che sull’immigrazione ha qualche problema in casa.