Militanza in toga. Referendum giustizia, col comitato per il ‘no’ i magistrati dell’ANM tradiscono la loro
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imparzialità. Il referendum sulla giustizia sarà uno sciagurato scontro frontale, Schlein e l'opposizione pronte al Renzi-bis
*Nicolò Zanon 3.11. 2025 alle 15:15 lettura4’
L’Associazione nazionale magistrati (ANM) ha costituito un proprio comitato e ha già iniziato la sua campagna referendaria per il No alla riforma della giustizia. Dobbiamo scandalizzarcene? In fondo, l’ANM è una libera associazione sindacale, e le spettano i diritti di partecipazione politica che valgono per qualunque altra associazione. Tutto bene e tutto normale, dunque? No, le cose sono un poco più complicate. Mettiamo in fila i problemi. È vero che l’Associazione nazionale dei magistrati raggruppa dipendenti pubblici che godono degli stessi diritti di tutti gli altri cittadini. Ma i magistrati non sono proprio cittadini qualunque: e, come ha stabilito varie volte la Corte costituzionale, alcuni limiti all’esercizio dei loro diritti, specie quelli di partecipazione politica, sono giustificati dai princìpi costituzionali che caratterizzano le loro delicate funzioni: in primis indipendenza e imparzialità. E, in riferimento a quest’ultima, per non offuscare la fiducia di cui deve godere la magistratura nella società, è essenziale il valore della stessa apparenza d’imparzialità. Chiediamoci, allora: quale immagine di imparzialità avranno, alla fine, questi magistrati, dopo l’attiva partecipazione a una durissima campagna referendaria?
Inoltre, dal modo in cui si atteggia e presenta le proprie iniziative, il comitato per il No dell’ANM finisce per sembrare una organizzazione che “rappresenta” la totalità della magistratura italiana. Una magistratura schierata compattamente contro una revisione costituzionale adottata dal potere legittimo, quello di revisione previsto all’art. 138 della nostra Costituzione. Tutto viene infatti presentato come se l’ordine giudiziario, oggetto delle proposte di modifica di una parte significativa della Costituzione, voglia farsi soggetto politico che ostacola e si oppone a quelle modifiche. Se è lecito spingere il paradosso agli estremi, è come se a fronte di una proposta di modifica che tenda a limitare il bicameralismo perfetto, il Senato o la Camera (non alcuni partiti, ma proprio gli organi costituzionali della rappresentanza politica!) costituissero un comitato per opporsi alla limitazione dei propri poteri…
Da tutto questo, come minimo, deriva all’osservatore una sensazione di disagio, la percezione che sta accadendo qualcosa di profondamente sbagliato. Ci vorrebbero, ma se ne sono finora sentiti davvero pochi, magistrati che facessero vibrare una voce dissonante, non tanto sul “no” alla riforma, ma proprio su questa creazione di un comitato dell’ANM, che finisce per essere assimilato all’intero ordine giudiziario. Anche se c’è qui un ulteriore paradosso: magistrati che fanno della sacrosanta discrezione la cifra del proprio lavoro, come potrebbero sentirsi a proprio agio nel dover assumere pubblicamente posizioni di rottura con i propri colleghi? Oppure, ci vorrebbe, in un mondo ideale e a stigma di questo ingresso dell’ANM in campagna referendaria, una presa di posizione del CSM (per farlo giocare in casa: attraverso una “pratica a tutela” dell’imparzialità dell’ordine giudiziario!): ma chi seriamente può crederci? Sappiamo bene, purtroppo, che la componente togata del CSM è, quasi del tutto (e in quel “quasi” si annida una timida speranza), la trasposizione dell’ANM in ambito istituzionale, e, del resto, una delle ragioni che hanno mosso la riforma è proprio la rottura di questa perniciosa identificazione.
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La sensazione di disagio si aggrava alla luce di alcuni eventi ai quali abbiamo assistito nelle ultime settimane: Palazzi di giustizia di varie città utilizzati come vere e proprie sedi di iniziative dirette a presentare ai cittadini il comitato per il No e i suoi argomenti, con il coinvolgimento di compagnie variegate di celebrities (cantanti, attori, scrittori: e però, queste adunate elettorali di ricchi e famosi non portano quasi mai bene…). Il culmine di questi eventi è stato l’utilizzo dell’aula magna della Corte di cassazione: qui il valore simbolico dell’iniziativa è stato spinto all’estremo e la questione si fa seria assai. I Palazzi di giustizia sono di tutti noi, non dell’ANM, e nemmeno dei soli magistrati. Sono i luoghi in cui si amministra la giustizia, imparzialmente e per tutti, e sono soprattutto luoghi in cui deve regnare la neutralità politica delle istituzioni e degli apparati amministrativi di supporto, richiesta dallo stesso articolo 97 della nostra Costituzione.
Attenzione: la legge n. 28 del 2000 (soprattutto l’art. 9, comma 1) in tema di comunicazione istituzionale fa divieto alle amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione durante i periodi di campagna elettorale: scopo di queste norme è quello di evitare che le pubbliche amministrazioni forniscano, attraverso modalità comunicative e contenuti informativi non neutrali, una rappresentazione suggestiva, a fini elettorali, dell’amministrazione e dei suoi organi titolari. Vero che qui si ha a che fare con apparati di supporto all’amministrazione della giustizia, e vero che non siamo formalmente in un periodo di campagna elettorale. Ma la ratio di quella legislazione ammonisce: non si dovrebbero usare a fini di parte i luoghi adibiti all’amministrazione della giustizia, con modalità suggestive, in vista di obiettivi elettorali, in violazione degli obblighi di neutralità politica, in spregio al pluralismo e alla libertà di voto degli elettori.
Alla fine, se la magistratura utilizza partigianamente i Palazzi di giustizia, possono accadere due cose, di significato opposto, ma entrambe negative:
da un lato, il messaggio divulgato da quelle sedi rischia di acquistare, proprio perché da lì proviene, un indebito plusvalore di legittimità e verità, che in realtà inganna;
dall’altro, il messaggio finisce per coinvolgere nel gorgo della polemica e della parzialità gli stessi luoghi in cui si amministra la giustizia.
Nessuno di noi conosce ovviamente l’esito del referendum. C’è però da temere, per l’ordine giudiziario ostaggio di queste linee di comportamento dell’ANM, che le cose finiranno male, qualunque sia l’esito. Perché facendosi così palesemente soggetto politico di parte, la magistratura rischia di gettare alle ortiche quel che le resta della fiducia dei cittadini.
Nicolò Zanon*
Ordinario diritto costituzionale, ex giudice della Consulta


