LA VERSIONE DI BAFFINO – COMPLICE IL LAMBRUSCO, IN UN CIRCOLO ARCI

DELL’EMILIA D’ALEMA VA A RUOTA LIBERA – “IO NON ODIO VELTRONI, MA HA LA COLPA DEL LEADERISMO CHE CI HA PORTATO DOVE STIAMO” – “NON È VERO CHE WALTER È PIÙ BUONO DI ME E IO PIÙ SCAFATO. È L’OPPOSTO”

“Non sono pentito di aver regalato la maglietta di Totti a Renzi, i regali si fanno a tutti. Dovevo immaginarmi che voleva fregarmi? Ma perché avrei dovuto sospettarlo, perché avrei dovuto tormentarmi con questo dilemma. Comunque io sono irrottamabile, finché avrò qualcosa da dire la dirò”…

Giampiero Calapà per “Il Fatto Quotidiano” 25 APR 2015 17:42

Quando c’era  Berlinguer, attorno una platea di poltrone rosse, vuote, e poi le lacrime. La fine della sinistra è in questa istantanea che ritrae i due fratelli- coltelli del post comunismo. Aggiunge nuovi particolari all’episodio Massimo D’Alema, in una serata al circolo Arci Fuori orario, tra Parma e Reggio, profonda Emilia rossa.

Qui non si beve il vino della tenuta umbra del lìder Maximo, anche se lui a tavola ne parla volentieri: “Siamo stati premiati con i cinque grappoli”. Non parla delle sue bottiglie comprate dalla Cpl, la coop invischiata nell’inchiesta su Ischia. Qui ci sono lambrusco, frizzantino fresco, salame e mortadella prima di un’abbondante lasagna, quando la vede l’ex premier strabuzza gli occhi preoccupato, ma ripulisce il piatto.

Sembra una vecchia festa de l’Unità, la sala con i finti vagoni del treno nel locale Arci è colma, una sessantina di persone. Tutti ad ascoltare religiosamente uno dei capi più amati e odiati della sinistra, anche se qualche contestazione, qualche mugugno, non manca. Un imprenditore, settore ceramiche, prende il microfono e si sfoga: “Mi sento un fallito perché ho fatto fare la cassa integrazione, perché ho lasciato a casa quaranta persone, perché ho votato questo partito per cinquant’anni. Massimo, tu hai sbagliato perché non sei stato vicino a Walter quando ne aveva bisogno”.

 D’Alema si alza in piedi da tavola: “Scusate, ma sono un vecchio comiziante. Io non odio Veltroni, ma gli imputo la colpa del leaderismo che ci ha portati dove stiamo. M’invitò alla prima di Quando c’era Berlinguer, ho dovuto declinare l’invito perché avevo un convegno, in Cina. Ma poi ha insistito. E con lui le nostre figlie. Io e lui abbiamo un universo sentimentale comune e siamo prigionieri delle nostre figlie”.

“Non è vero che Veltroni è più buono e io più furbo” “Walter è ormai, come sapete un uomo di cinema, voglio consegnarvi quest’immagine cinematografica. Ha organizzato per me una proiezione privata al Fiamma di Roma. Quando alla fine Berlinguer muore, le scene dei funerali... io e Walter ci prendiamo per mano e piangiamo, insieme, nella platea di poltrone rosse vuota, solo noi due”. Sorride D’Alema.

Ma rilancia subito, serio: “Non è vero che Walter è più buono di me e io più scafato di lui. È l’opposto. Lui è talmente scaltro che si è fatto passare per buono. Io gli voglio bene, ma lui ha dato questa impronta americana al partito. Non è un fatto criminale, ma io ho un’altra concezione... Lui una volta ha detto che non è mai stato comunista, io non potrei dirlo non solo perché non è vero ma perché lo sono stato e non me ne vergogno!”.

E, quindi, da Veltroni a Renzi il passo per D’Alema è doloroso e si vede mentre ne parla, prova a fare il duro, ma a volte gli si incrina la voce. Suscita qualche borbottio, rimproveri, ma anche applausi: “Concetto Marchesi, eletto nelle liste del Pci, si alzò in dissenso dal partito sull’articolo 7, contrario ai Patti Lateranensi in Costituzione, e abbandonò i lavori dell’Assemblea costituente, era il 1946: disse che le regole democratiche venivano prima del Partito comunista.

Palmiro Togliatti non mise la fiducia. Nel Pci non c’era la democrazia, c’era il centralismo democratico. Ora invece? Peggio, solo la ratifica delle idee, mutevoli, espresse dal nostro leader. Il Pd è meno democratico di quel Pci. La verità è che abbiamo fatto il partito che sognava Berlusconi. Renzi è una versione tra virgolette di sinistra di Berlusconi”.

E non si dà pace, D’Alema: “È anche un ragazzo fortunato il premier, è sempre al posto giusto al momento giusto, ma questa è una virtù. Potrebbe fare tante buone cose in questo momento, ma il suo unico assillo è cucirsi addosso una legge elettorale su misura per le prossime elezioni. Noi avevamo fatto la legge Mattarella, una buona legge. Poi Berlusconi ha fatto il Porcellum.

Quindi abbiamo rotto i coglioni agli italiani con la storia del Parlamento di nominati e adesso vogliamo farne uno sempre di nominati: l’Italicum è una ciofeca rispetto alla nostra legge, forse addirittura peggiore del Porcellum. Aggiungiamo a questo una riduzione degli spazi di democrazia –perché non viene cancellato il Senato, viene cancellata la possibilità di votare – e il quadro è sconfortante”.

“Capisco chi non fa la tessera. Riprendiamoci casa nostra” “Ma perché –chiedono dalle tavolate – non ce ne andiamo da questo Pd?”. “Io non vado in un gruppo minoritario, ho passato la vita a inseguire l’idea di un grande partito riformista. Dobbiamo riprenderci casa nostra. Nel frattempo facciamo associazioni, teniamo aperti posti come questo, anche per chi non ha più lo stomaco di prendere la tessera del Pd, perché li capisco, ma non disperdiamoci”.

A qualcuno in sala viene in mente quel breve momento in cui tra D’Alema e Renzi era sembrato ci potesse essere la pace e un rapporto civile. Era il marzo del 2014, Renzi interviene alla presentazione di un libro dell’ex segretario Ds, Non solo euro, e riceve in dono la maglietta di Totti. Secondo alcuni osservatori D’Alema era interessato a un posto, forse la poltrona di ministro degli Esteri in Europa dove è stata, invece, spedita Federica Mogherini. E qualcosa D’Alema sembra ammettere: “Non sono pentito di aver regalato la maglietta di Totti a Renzi, i regali si fanno a tutti. Dovevo immaginarmi che voleva fregarmi? Ma perché avrei dovuto sospettarlo, perché avrei dovuto tormentarmi con questo dilemma. Comunque io sono irrottamabile, finché avrò qualcosa da dire la dirò”.

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