Sopravvivere al cappio di Renzi. Che cosa doveva essere il Nazareno? Cosa poteva essere il partito della Nazione?

Ci si può consegnare davvero a Salvini? Il jolly di Marina, le regionali, Cameron. Confessioni di un pezzo grosso di Forza Italia

di Claudio Cerasa | 12 Maggio 2015 ore 06:18 Foglio

L’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha annunciato che dopo le prossime elezioni regionali Forza Italia confluirà in un nuovo contenitore che si dovrebbe chiamare “Partito repubblicano”

E’ un pomeriggio romano. Siamo a Trastevere. Tavolino isolato all’aperto da Checco il Carrettiere. E di fronte a chi scrive c’è un pezzo grosso di Forza Italia. Un ex ministro. Ieri del Pdl. Domani chi lo sa. E’ amareggiato. A tratti depresso. Prova a ragionare sul futuro del centrodestra con la stessa fiducia nel domani di una squadra che a fine campionato scende in campo sapendo di essere già matematicamente retrocessa. Ed è un insieme di parole, il suo, di ragionamenti, di riflessioni che questo ex ministro del Pdl ci consegna chiedendo di non rivelare la propria identità ma accettando di veder riportati i suoi ragionamenti, sinceri, che ci possono aiutare a capire, sine ira et studio, che cosa passa in questo momento nella testa di un dirigente di Forza Italia, e quali sono le riflessioni che si fanno, oggi, dovendo immaginare come sarà possibile, dopo le regionali, raccogliere con il cucchiaino il corpo di un partito che ormai esiste solo virtualmente. Si parla di tutto. Da Renzi al Nazareno passando per Forza Italia e Fitto e il Partito repubblicano e la lezione inglese e Berlusconi e Marina e tutto quello che ruota attorno al mondo del Cavaliere. Un fiume in piena. Noi apriamo il taccuino e iniziamo ad appuntare. “Siamo un partito passeggero che aspetta di rinnovarsi e che lo fa sapendo che le prossime settimane saranno un disastro. Non sono ottimista su nessuna regione. Dove vinceremo, se vinceremo, lo faremo con leader esterni a Forza Italia: penso a Zaia, in Veneto, e penso a Caldoro, in Campania. L’unica possibilità che abbiamo di raggiungere un risultato non drammatico è in Liguria, ma ho come l’impressione che alla fine la partita di Toti servirà più alla futura classe dirigente del nostro partito per regolare alcuni conti che per tutto il resto. Dove andremo? Giuro che non lo so, non è chiaro, ci salveremo ancora una volta con una trovata di Berlusconi, immagino, ma la verità è che in questo momento siamo alla vigilia di un’esplosione che temo ci sarà, subito dopo le regionali. E vi dico anche che ci può stare, può succedere, in questa fase può avere persino senso non solo ripartire da zero ma anche frammentarsi e andare a raccogliere da angoli diversi tutti i nostri spicchi di elettorato. Ma il nostro futuro, di tutti, sarà quello di fare la stessa cosa che oggi fa il Pd e sarà quello di mettere insieme un partito della Nazione di centrodestra. Già, mi direte, e chi diavolo lo guiderà? Io dico che se dovessimo andare a votare presto, e penso che Renzi abbia tutta l’intenzione di farlo, l’unica soluzione possibile sarebbe quella di giocarci la carta del brand della famiglia Berlusconi. E Marina, tra tutti, è quella che avrebbe più possibilità di mettere insieme il centrodestra. Il presidente vorrebbe tenerla lontana dalla politica per salvaguardarla ed evitare di farle passare quello che lui stesso ha passato in questi anni. Ma se dovesse esserci una caduta improvvisa del governo la soluzione sarebbe lei.

Per il domani, invece? Immaginare il domani è complicato, perché il nostro errore in questi anni è stato quello di non aver investito in modo sufficiente su una nuova classe dirigente, che sul territorio invece esiste e ha i numeri per giocare in serie A. Eppure la strada è quella, non ce ne sono altre. Dobbiamo scommettere sui nostri giovani sindaci, i nostri giovani parlamentari, noi ex ministri dobbiamo fare gli allenatori e farci da parte, non farci vedere più neanche in televisione, perché rischiamo di fare il gioco del renzismo, che può piacere o no ma è un fenomeno non transitorio che non possiamo sottovalutare.

Cos’è il renzismo? Il renzismo è il rinnovamento come fine e non come mezzo ed è ormai diventato un elemento decisivo della nostra società politica e mediatica. C’è poco da fare: chiunque abbia avuto un ruolo negli ultimi vent’anni di politica o si chiama Berlusconi, e ha una storia vincente, oppure non può avere alcuna speranza di convincere gli elettori e il pubblico da casa di essere lui il cambiamento. So che è una forzatura ed è anche una nuova forma di dittatura della comunicazione, ma è così e dobbiamo prenderne atto. Quanto a Renzi, beh, certo lì il problema è grande come una casa e dobbiamo riuscire nell’impresa di non pensare all’elefante. Ricordate? Qualche anno fa negli Stati Uniti, ai tempi di George W. Bush, uscì un libro godibilissimo di un bravo linguista americano, George Lakoff, che raccontava di come il grande errore del Partito democratico fosse quello di essere schiavo delle parole d’ordine della destra. In altre termini, ogni ragionamento e ogni polemica e ogni battaglia culturale veniva fatta muovendosi nel perimetro di gioco tracciato dall’avversario e per molto tempo la sinistra americana, se si può chiamarla così, non riuscì a trovare, anche per questo, le parole giuste per darsi una sua dimensione e dunque un’identità. Oggi tocca dire che in Italia abbiamo un problema simile che ci riguarda da vicino. Fino a che continueremo a essere schiavi del linguaggio del renzismo, fino a che utilizzeremo il vocabolario della Leopolda per cercare ‘il Renzi di destra’, per organizzare ‘la Leopolda di Forza Italia’, per cercare ‘una Boschi repubblicana’, per mettere insieme un gruppo di ‘rottamatori berlusconiani’, fino a che rimarremo in quel perimetro linguistico non riusciremo mai a emanciparci dal renzismo e non riusciremo a guardarci allo specchio e a nominare quello che siamo. E, a proposito di parole, lo stesso problema, ovvero definire quello che siamo, lo abbiamo oggi dovendo ragionare sul nostro futuro e sul nostro prossimo partito. Chiamarci Forza Italia non va più bene, non funziona: è un brand che ha avuto una sua grande tradizione ma in questa fase contribuisce a farci passare come un prodotto vecchio, un riciclo del passato. Niente. E allora come diavolo ci dobbiamo chiamare? Partito repubblicano? Bello, suggestivo, forse andrà così, ma abbiamo un problema: in Italia il Partito repubblicano c’è stato, era quello di La Malfa e compagnia, e usare ancora una volta un brand del passato rischia di essere un simbolo della Prima Repubblica, un modo di non saper nominare e definire il domani. Potremmo chiamarci nuovo centrodestra, ma non è il caso… Potremmo chiamarci ‘nuova destra’, così secco, ma io come molti altri non mi sento di destra, e dire destra, in Italia, è come voler innescare dei meccanismi che ci riportano inevitabilmente al passato, al fascismo, alla destra nazionalista, e noi non possiamo permetterci di essere percepiti come qualcosa di vecchio, di antico. Potremmo chiamarci conservatori, ma anche qui trattasi di un termine che in Italia non funziona perché è semanticamente scivoloso: che senso ha dire che da una parte c’è chi promuove il progresso, i progressisti, e dall’altra c’è invece chi promuove la conservazione, i conservatori? Ovvio che poi la parola ha un altro significato, in cui mi ritrovo, ma in Italia non funziona, il meccanismo non passa. Non sappiamo come uscirne, vede, anzi se conosce qualcuno con qualche idea…

Dicevo di Renzi, sì. Il nostro problema è tutto lì. Non condivido il presidente, il nostro presidente, quando dice che siamo di fronte a una svolta autoritaria, a un pericolo per la democrazia. Capisco il senso con cui vengono fatti questi ragionamenti ma io credo che ci tocchi riconoscere una dura realtà: Renzi si è impossessato di battaglie che un tempo erano nostre e non solo le sta promuovendo, ma le sta in certi casi realizzando. Il Jobs Act, per dirne una, era una riforma che avremmo potuto fare anche noi. E l’Italicum, per dirne un’altra, è la stessa riforma, o quantomeno molto simile, a quella che nel 2007 venne inscritta nel referendum Guzzetta-Segni, e che molti di noi sostennero, compresi parecchi e attuali dirigenti di Forza Italia. Premio alla lista allora, premio alla lista oggi. I nostri elettori non sono quelli della Lega, sono elettori che hanno un profilo meno di lotta e più di governo e che sono abituati a giudicare le cose nel merito. E se noi oggi ci limitiamo a dire che Renzi fa schifo e basta, quando Renzi fa molte delle cose che avremmo voluto e potuto fare noi, è come se invitassimo i nostri elettori ad abbandonarci del tutto e ad andare tra le braccia di Renzi. Dunque, che fare? Dobbiamo incalzare, provocare, smontare le cose che non funzionano e laddove invece c’è qualcosa che funziona dobbiamo preoccuparci, senza pietà, di spiegare come potrebbe migliorare, di cosa manca per farla essere funzionale e credibile. Dobbiamo scommettere molto sull’economia, sui temi sui quali Renzi è invece imbarazzante, ridicolo, come il taglio alla spesa pubblica, le riforme strutturali, la pressione fiscale, l’abbattimento del debito. E poi la giustizia, il suo essere un garantista, Renzi, solo a parole, e solo con i suoi amici, e il suo essere in realtà profondamente figlio di una logica intrinsecamente giustizialista. Dobbiamo intestarci delle battaglie, senza rinunciare a nulla, ricordandoci come funziona oggi l’elettorato non solo italiano ma credo europeo. Come funziona? Funziona che oggi esistono partiti nati per essere all’opposizione, e che dunque possono permettersi di essere irresponsabili, penso anche alla Lega ovviamente, ed esistono partiti che invece hanno il compito di governare e di prepararsi a essere l’alternativa. Oggi immaginare un’alternativa a Renzi è difficile, lo so, ma dobbiamo e possiamo mettere in conto che se la legislatura andrà molto avanti nel tempo (sottolineo, ‘se’) le cose per Renzi potrebbero non andare bene, la crescita potrebbe non essere così forte come dovrebbe essere, l’economia potrebbe non riflettere le potenzialità che invece avrebbe e in quel contesto, dato che gli elettori premiamo sempre i partiti che fanno andare bene l’economia e bocciano sempre quelli che la fanno andare male, dobbiamo essere nelle condizioni di essere votabili dagli stessi elettori che oggi osservano Renzi con simpatia per le sue idee, e che un domani potrebbero trovare invece il premier non più credibile. Inseguire la Lega, per noi, è un suicidio politico di dimensioni cosmiche, galattiche, interplanetarie, ormai è chiaro. Ce lo dicono anche i sondaggi, per quello che valgono, che andare dietro a Grillo e Salvini è un modo per regalare voti a Grillo e Salvini, non per rubare voti a loro. Noi siamo un altro partito, un’altra storia, dobbiamo provare, lentamente, a metterci in scia a Merkel, Cameron, persino Rajoy, e dobbiamo ricordarci che in questa fase storica l’anomalia vera, per l’Europa, è una destra che non prende voti, in un’Europa in cui invece tutti i partiti conservatori, chiamiamoli così, riescono ad affermarsi nei paesi più importanti del continente, e riescono a dare risposte credibili per superare definitivamente la crisi. Noi non ci riusciamo, ne prendiamo atto, ma dobbiamo anche ricordarci che il centrodestra in Italia è al governo dal 2008 ed è davvero all’opposizione da pochi mesi. E dunque bisogna avere pazienza… Non dico che è la nostra stagione, perché anche un miope saprebbe riconoscere che questa è la stagione di Renzi, dei giovani, dei quarantenni, ma dico che muovendoci bene possiamo prepararci per non regalare l’alternativa al renzismo a Grillo e Salvini.

Mi chiedono in molti: e se non troverete un candidato capace di essere competitivo con Renzi, e se dalla famiglia Berlusconi non dovesse spuntare alcun jolly, cosa potrebbe succedere, che direzione prenderete, potreste promuovere Salvini come leader? Sarebbe una sconfitta totale, sarebbe come se il Pd dovesse diventare una costola di Civati o di Grillo, ma sarebbe la soluzione finale: un listone unico chiamato Lega Italia con Salvini leader. Aborro all’idea, mi vengono i brividi, pur essendo del nord, ma in mancanza di altro si potrebbe anche fare.

E poi c’è la storia del Nazareno, sì, il nostro peccato originale, il vero dramma, il vero errore politico degli ultimi mesi, di cui ancora non mi capacito e non ci capacitiamo, molti di noi. E’ successo tutto, lo sapete, con la storia del presidente della Repubblica, con Mattarella, e il cortocircuito è stato senza senso. Dovevamo fare una cosa molto semplice: non fare le barricate per un presidente innocuo, ma intestarcelo da subito. Se fosse andata così sarebbe stato perfetto. Avremmo avuto la possibilità di rinnovare il nostro profilo di governo. Avremmo avuto il tempo di riorganizzarci. Dopo le regionali, per dire, saremmo potuti entrare facilmente in maggioranza. E, vi dico la verità, governando insieme fino al 2018 io come molti altri saremmo stati anche disponibili a sciogliere Forza Italia e a far nostro, con Renzi, il Partito della nazione. E invece oggi siamo qui. Con un partito che rischia di esplodere. Un patrimonio buttato dalla finestra. Un futuro incerto. E nemmeno un nome per definirci. Non si tratta di essere depressi. Si tratta solo di essere realistici. E forse alcune cose non si possono dire pubblicamente e in modo franco, ed è per questo che vi chiedo l’anonimato, anche perché siamo in campagna elettorale. Ma fino a che almeno tra noi non ci diremo la verità, e che il problema non è Renzi ma siamo noi, non riusciremo mai a fare quello che ci tocca fare per costruire un domani e aiutare la nostra democrazia a essere responsabile e sana. Costruire l’unico contrappeso possibile per una democrazia moderna: un’opposizione che molto semplicemente sappia funzionare come si deve”.

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