I guerrieri della fraterna sicurezza. Via dal buonismo e dalla paura.

Renzi il boy scout esporti la democrazia in periferia. Con il Peace Corps

di Giuliano Ferrara | 16 Giugno 2015 ore 19:43 Foglio

Se Renzi deve tornare a essere Renzi, perché le elezioni parziali mettono in stallo il tentativo di rinnovamento che pensa di esprimere, allora ci vuole un’ideuzza che sia magari un’idea. Passare i prossimi mesi e anni a discutere di chimere come il partito della nazione, come i populismi e i grillismi, tra angoscianti paure e campagne di disinformazione allarmistica e note politiche sul fatale ballottaggio, e misurazioni muscolari in Europa, è sconsigliabile. Sarà l’andamento dell’economia reale (lavoro, tasse, investimenti, esportazioni, finanza) a decidere tutto, ma intanto il lato scoperto del renzismo è un Pd inerte e rissoso, che sa infliggersi punizioni esemplari, e un blocco sociale di centrosinistra che non ha un perno intorno a cui ruotare (fino al punto che sulla scuola il rischio è di pregiudicare centomila assunzioni e il ristabilimento di procedure non ope legis per il ricambio degli insegnanti). La destra, con o senza leadership, sa intorno a che cosa ruotare: la denuncia, la protesta, l’alimentazione del disagio sociale di fronte ai problemi della sicurezza, dell’immigrazione, della calata degli alieni sulle nostre coste e presso le nostre stazioni ferroviarie. E sono preoccupazioni, quelle della destra, che comunque espresse hanno il crisma della legittimità, derivante dalle funzioni di controllo dell’opposizione, e parlano al cuore dell’elettorato. Se a questo si aggiunge aggressività moralistica contro la corruzione, e una certa dose di giustizialismo non berlusconiano, campagna fronteggiata malamente con il ruolo, sepolto a Venezia, di magistrati supplenti con vocazione di leader politici, la situazione generale del paese si fa pallida parecchio.

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Avevo proposto parecchio tempo fa a Renzi di fondare un sindacato dei giovani e dei precari, perché va bene il rapporto stabilito con Marchionne, ma la questione sociale e sindacale il capo di un partito di sinistra non può cancellarla ricevendo le confederazioni per un’ora sola a Palazzo Chigi, o non solo in quel modo, né restaurando la pratica della concertazione con i vari cacciavite dei vari Enrico Letta. E il Pd o esce in missione, un po’ come cerca di fare Francesco con la chiesa, e raggiunge qualche periferia, oppure sarà bollato come il partito fighetta della Leopolda, e le giuste idee della Leopolda saranno sepolte dall’attivismo dell’ultimo Cobas. Niente di fatto. Risposte non pervenute. Le idee in Italia sono concepite per essere eluse e marginalizzate dalle pratiche. Ma ora?

Ora la carta della paura, di fronte alle immigrazioni selvagge che nessuno può ragionevolmente arrestare con mezzi accettabili, e che si riversano traumaticamente, per ragioni geografiche e storiche, nel panorama delicato di un paese privo di spazi vitali, in cui stazione ferroviaria e frontiera diventano grazie alle telecamere il centro di un dramma epocale e di un allarme forsennato, anche di tipo epidemico, diventa un asso di bastoni quando la briscola è bastoni. Contro la logica della paura non puoi agitare un vago moralismo umanitario o un annaspare nell’Unione. Devi trasformarlo in una operazione sensibile e politicamente nuova, che segni in modo positivo l’esistenza di uno stato d’eccezione. Un decreto del governo istituisca un Corpo volontario di sicurezza e fraternità, finanziato con l’8 per mille e altri mezzi, un’agenzia pubblica coordinata dal presidente del Consiglio e dal suo staff. L’obiettivo è mobilitare migliaia di giovani italiani per compiti di controllo degli arrivi, di accoglienza, di assistenza sanitaria e logistica, di scambio e conoscenza reciproca. C’è un’esperienza americana nata nella temperie del Dopoguerra, a partire dagli anni Cinquanta, e sviluppatasi attraverso le amministrazioni democratiche e poi repubblicane, un filo rosso che unisce kennedysmo e reaganismo: si chiama Peace Corps (pronuncia peace cor, senza la p e la s finali). I volontari internazionali di quell’epoca si rivolgevano al terzo mondo (allora si chiamava così) e lì operavano con compiti di educazione, di sostegno sanitario e altri obiettivi tipici di una missione civile. Ora il terzo mondo ce lo abbiamo in casa, ci divide, ci inasprisce, stimola reazioni belluine o buoniste, le une il risvolto delle altre. Ma il tutto in poltrona, discutendo di quote con Juncker, litigando con Hollande, e misurando a cazzotti le responsabilità con Salvini e Grillo. Bisogna trasformare una chiacchiera oziosa in uno strumento di sostegno e di mobilitazione popolare, che tolga dall’inerzia migliaia di giovani e coltivi un’idea appunto missionaria della democrazia. In Italia c’è anche la forza, apparentemente disponibile, della chiesa cattolica, e allearsi con questa forza sarebbe decisivo. E Renzi alla fine, se vuole essere Renzi, è un boy scout. O mi sbaglio?

Categoria Italia

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