L’ultima incresciosa del Pd: il burocrate Fabrizio Barca che fa le black list

Sotto il colpevolmente benigno sguardo di Orfini, e tra gli applausi dementi del solito pubblico incantatorio della Festa dell’Unità

Fabrizio Barca e Matteo Orfini (LaPresse)

di Giuliano Ferrara | 21 Giugno 2015 ore 06:00

La democrazia facile e infida di Matteo Orfini e di Fabrizio Barca è una mappatura, un googlemaps all’amatriciana. Orfini è da onesto funzionario di partito il commissario del Pd messo da Renzi a Roma per fronteggiare vasti fenomeni di corruzione, una crisi che rischia di travolgere molte cose, innescata tra l’altro dalla scelta della procura di elevare una incredibile accusa di mafia ex 416bis contro la ordinaria corruttela della pubblica amministrazione municipale, senza quell’aggravante chiassosa non proprio una novità né un allarme criminale particolare, e da una campagna a gran cassa spiegata su giornali e tv contro la solita immagine di Roma ladrona (altrove invece è Transparentia felix, com’è noto). Barca è un dirigente generale del Tesoro che trova il tempo non si sa come per fare politica “di territorio”, fallire goffo in politica nazionale, essere recuperato da circoli amici e influenti come testimonial superintelligente, una specie di viceSaviano con appeal se possibile appena più modesto, della verità e conformità degli affari politici a uno standard che le lobby dell’Onestà hanno fissato una volta per tutte.

Sotto il colpevolmente benigno sguardo di Orfini, e tra gli applausi dementi del solito pubblico incantatorio della Festa dell’Unità, ma fronteggiando obiezioni, stanchezze e noie furbe di militanti che non la bevono nonostante l’atmosfera da beota talk show dell’evento, il Commissario e il Dirigente generale del Tesoro in trasferta ricognitivo-politica, hanno fatto e illustrato la black list dei circoli cattivi del Pd. Ci sono quelli, secondo loro, che “progettano per il rinnovamento”, quelli che vivono di “identità”, e quelli che vivacchiano di “inerzia”. Sono le tre fasce gogoliane definite da due burocrati che evidentemente non sanno minimamente che cosa sia, anche con le sue miserie, una vera democrazia. Dicono addirittura che alcuni circoli risentono della costruzione di un potere per il potere, e sono inquinati da personalità dominanti che fanno della leadership territoriale qualcosa di simile al patrocinio o al padrinaggio. Ma come si permettono?

L’idea della mappa dei buoni e dei cattivi, con la sua black list, è ributtante per definizione, e stupisce che Orfini, pur sempre presidente del Pd renziano d’oggi, accetti questo gioco truccato lesivo di ogni principio di autogoverno democratico. I capi in democrazia li giudicano coloro che gli danno il voto alle elezioni, nei congressi, nella vita sociale organizzata, e nessun altro, a parte le tutele del codice penale o codici etici fissati con criterio accettato nel quadro dell’autogoverno e statutariamente normati. Che poi questa caricatura del rinnovamento, chiacchiera evanescente suffragata solo dall’adulazione dei media, si nutra di riferimenti culturali e linguistici d’accatto, nello stile del più puro barchese, è un’aggravante e non di quelle minori. Il commissario avrà dei poteri definiti dallo statuto, ma l’intellettuale e burocrate di servizio delle campagne di moralizzazione è solo uno di quelli che, invece di giudicare, dovrebbe essere giudicato. E quando lo è stato, si è visto come è andata.

Categoria Italia

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