Non solo legge di Stabilità. L’asse Weidmann-Schäuble dà un primo stop a Roma

“Bruxelles non è un maestro”, così Renzi prenota la flessibilità. Ma da Berlino c’è una controproposta hard per le banche

Wolfgang Schäuble e al suo fianco Jens Weidmann (foto LaPresse)

di Marco Valerio Lo Prete | 17 Ottobre 2015 ore 06:27

Berlino. L’Italia “desidera fare pieno uso della flessibilità prevista dal Patto di stabilità e crescita”, c’è scritto nel progetto di bilancio presentato a Bruxelles dal governo dopo l’approvazione della legge di Stabilità in Consiglio dei ministri. Lo ha ribadito ieri, con toni meno diplomatici, il presidente del Consiglio Renzi: “Bruxelles non è il nostro maestro che fa l’esame. Può dare suggerimenti ma non può intervenire” sulla manovra. Proprio mentre la Commissione Ue ricordava che il giudizio definitivo sulle Finanziarie degli stati dell’Eurozona arriverà a fine novembre. Solo allora si capirà quanto deficit si potrà fare per coprire il taglio delle tasse.

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Tutto fermo nel frattempo? Non esattamente, come emerge dalle conclusioni del Consiglio europeo di giovedì notte, rese pubbliche ieri mattina. La Reuters ha fatto notare come nel comunicato finale dei leader Ue non comparisse più un riferimento esplicito a un rapido completamento dell’Unione bancaria e in particolare allo schema di garanzia comune sui depositi che invece era presente nelle bozze circolate prima. E’ stata la Germania a opporsi a una citazione della cosiddetta “terza gamba” dell’Unione bancaria. La prima è costituita dal Supervisore unico (Ssm) presso la Banca centrale europea, già visto all’opera negli stress test degli istituti di credito del continente. La seconda gamba è il Meccanismo unico di risoluzione (Srm) che fissa le regole per trattare con le banche in estrema difficoltà e destinate possibilmente alla chiusura. Dal 1° gennaio 2016 entreranno infatti in vigore, anche nel nostro paese, le regole sul bail-in che obbligheranno azionisti, creditori e grandi correntisti a partecipare delle perdite di un istituto, prima che a rimetterci siano i contribuenti. La terza gamba è un sistema di garanzia comune dei depositi a livello europeo. Un aspetto, quest’ultimo, ritenuto fondamentale dalla Commissione Ue e dal presidente della Bce, Mario Draghi, al fine di non ingenerare panico ingiustificato nei correntisti del continente che tutto vorrebbero tranne puntellare con i propri risparmi le banche in estreme difficoltà.

Secondo la ricostruzione del Foglio, il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, sul dossier si sarebbe trovato però isolato all’inizio della discussione di giovedì. E quindi costretto ad annacquare l’impegno contenuto nel testo a proposito della terza gamba dell’Unione bancaria da un fronte congiunto tra Angela Merkel (Germania), Mark Rutte (Olanda) e più a sorpresa Mariano Rajoy (Spagna) e Donald Tusk (presidente del Consiglio Ue). E’ a Francoforte, questa volta nella Bundesbank, che bisogna cercare il motore immobile della frenata imposta alla più importante riforma della governance dell’euro ora in discussione. Se Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, non ha mai smesso di sostenere che i pilastri dell’Unione bancaria sono tre, altrimenti il progetto rimarrebbe monco e inefficace, l’omologo tedesco Jens Weidmann è di tutt’altro avviso. Per lui sono soltanto due i pilastri necessari: l’Ssm e l’Srm. La garanzia comune dei depositi rischia invece di “mutualizzare” i rischi bancari, cioè accollare ai contribuenti tedeschi eventuali fallimenti altrui. Da qui la chiusura tedesca che, secondo indiscrezioni raccolte dal Foglio, si arricchisce ora di una controproposta. Weidmann ha suggerito al ministro delle Finanze di Berlino, Wolfgang Schäuble, di opporre una condizione a fronte di quella che ritiene un’enorme pressione politica di certi paesi sulla garanzia comune. Di quest’ultima si può parlare, solo a patto che si metta ufficialmente in agenda un cambiamento delle regole sulla valutazione del rischio dei titoli del debito sovrano in pancia alle banche. Una controproposta hard per Roma, visto che la Banca d’Italia ha sempre sostenuto che i titoli sovrani – quale che sia il rating dei paesi emettitori – devono continuare a essere considerati “risk free” nella valutazione dei bilanci, pena la messa in ginocchio di banche e assicurazioni del nostro paese. La mossa vincente di Merkel chiama in causa Renzi, ma allarma soprattutto Visco.

Categoria Italia

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