l buco nero degli ospedali: ecco la mappa degli sprechi

Dalle mense al personale, spese triplicate. Disavanzo record per il Lazio

17/10/2015 PAOLO RUSSO ROMA  La Stampa

Spese per lavanderia, riscaldamento o mensa che raddoppiano o addirittura triplicano da un ospedale all’altro. Personale assunto a palate negli anni che gonfia a dismisura le piante organiche. Soprattutto di amministrativi, quando casomai mancano medici ed infermieri per i servizi di pronto soccorso. 

I NUMERI IN ROSSO 

E’ una mappa degli sprechi da almeno un miliardo quella messa a punto, su mandato della Lorenzin dall’Agenas, l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, che ha fatto le pulci ai bilanci degli ospedali di 14 regioni. Tutte le più importanti, meno Veneto ed Emilia delle quali mancano i dati. Ad essere tinti di rosso sono 29 grandi ospedali d’Italia, concentrati in Piemonte (4), Liguria (2), Toscana (4), Marche (1), Lazio (9), Calabria (4), Sardegna e Campania (uno ciascuna). Un buco da 915 milioni, destinati a sforare il miliardo quando saranno disponibili i dati di tutte le regioni. Anche se a fare la parte del leone la fanno i nosocomi della Capitale che nel 2014 erano in perdita per 707 milioni. Numeri che non fanno dormire i manager ospedalieri perché d’ora in avanti chi non turerà la falla in tre anni perderà il posto. La legge di stabilità appena approvata prevede infatti che i direttori generali degli ospedali in rosso presentino un piano di rientro triennale, che spetterà poi ai ministeri della Salute e dell’Economia oltre che alla Agenas monitorare. Se non lo faranno decadranno. Idem se dopo tre anni il bilancio non tornerà in pareggio. Una svolta voluta dalla Lorenzin, rispetto alla pacchia delle regioni Pantalone, che fino ad oggi hanno ripianato a piè di lista sforamenti e sprechi. Che a leggere le tabelle dell’Agenas sembrano abbondare.

IL CASO ROMANO 

Per far capire dove abbiano origine quei buchi l’Agenzia ha messo a confronto quattro ospedali, due in deficit e due no, confrontabili tra loro per numero di posti letto, reparti e livello delle prestazioni offerte in base al piano esiti del ministero della salute. Prendiamo il «San Camillo» di Roma, che ha il disavanzo record d’Italia (-158 milioni) e confrontiamolo con gli Ospedali Riuniti di Ancona, che riesce a chiudere con un leggero attivo. Allora scopriamo che il nosocomio romano intorno a poco meno di mille letti fa affaccendare 4148 dipendenti. Anche se poi si scopre che l’11% sono amministrativi, quando la percentuale standard sarebbe del 7%. Ad Ancona per un numero di letti più o meno analogo di addetti ne bastano invece 3461. Per non parlare di spese per beni e servizi non sanitari. Cose come mensa, lavanderia o riscaldamento. Che non puoi dire io costo di più perché trapianto cuori artificiali. Ebbene al San Camillo si spendono 80 milioni ad Ancona quasi metà: 45. Poi si scopre che a Roma in passato si è andati avanti senza gare d’appalto e si capisce meglio.

IL SUD 

Prendiamo ancora gli ospedali di Cosenza e Cannizzaro in Sicilia. Il primo in deficit per 8,5 milioni, il secondo in leggero attivo. Anche a Cosenza gli amministrativi abbondano e ci lavorano quasi 700 addetti in più che a Cannizzaro. Eppure a vedere i dati del Piano esiti non sembra che nell’ospedale calabrese si guarisca di più e meglio. E anche qui per i servizi non sanitari chi è in deficit spende 5 milioni in più. «Finalmente abbiamo un sistema che consente di intervenire preventivamente e non a scopo ispettivo», dice il direttore dell’Agenas, Francesco Bevere. «Senza contare – aggiunge - che questo sistema può contribuire alla diffusione ed al trasferimento delle buone pratiche, mediante audit clinici, organizzativi e gestionali». 

Categoria Italia

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