La fortuna non esiste: la matematica contro il gioco d'azzardo

Avviso ai giocatori, nel Paese che spende di più per macchinette e gratta e vinci: l’unica certezza, nel lungo periodo, è la sconfitta. Perché chi gioca non conosce la matematica. Mentre chi ci guadagna, sì. E la sa usare molto bene

di Francesco Cancellato 16 Gennaio 2016 - 07:50, Linkiesta

”11,5 milioni di euro al giorno. Questo il giro d'affari delle 12mila sale da gioco virtuali e illegali di proprietà di Luigi Tancredi, arrestato il 14 gennaio insieme ad altre dieci persone. Gli inquirenti sostengono che quel denaro servisse a pagare gli stipendi del clan camorrista dei Casalesi. Una piccola parte di quel denaro, ovviamente. Perché 11,5 milioni di euro al giorno sono più o meno quanto Zlatan Ibrahimovic guadagna in un anno. E sono pari a circa 4,2 miliardi di euro all'anno, più o meno quanto il governo stanzierà ogni anno, da qui al 2020, per combattere l'inquinamento e i cambiamenti climatici.

La cosa buffa, però, è che queste cifre iperboliche non sono che la punta dell'iceberg del giro d'affari del gioco - “d'azzardo” non si potrebbe dire, teoricamente - in Italia: un settore che muove un giro d'affari di circa 80 miliardi di euro. Giro d'affari che più che raddoppia, se ci mettiamo anche i 130 miliardi stimati che muove il gioco illegale e clandestino.

.

Nessun Paese al mondo gioca quanto l'Italia. Secondo il Global Gaming and Betting Consultancy, nel 2014 gli italiani hanno perso al gioco 17,8 miliardi di euro. Una cifra che, in valore assoluto, fa di noi il quarto paese più “spennato” al mondo e che dal 2001 è triplicata. Grandi protagonisti della nostra ludopatia sono le slot machine e i gratta e vinci. Se si considerano le sole macchinette, siamo il paese che gioca di più al mondo. E un gratta e vinci ogni cinque stampati nel pianeta viene acquistato in Italia.

Insomma: siamo un’anomalia. E secondo Marco Verani, professore di matematica al Politecnico di Milano, la causa è soprattutto una: «Siamo un Paese di analfabeti matematici - spiega -, in cui un sacco di gente ammette di non capire nulla di matematica, senza prova il senso di vergogna o disagio che mostrerebbe se dicesse che non sa leggere o scrivere. Il pensiero scientifico, in Italia, non viene visto come uno strumento che serve per navigare la realtà». Tranne, ovviamente, da chi progetta e guadagna con il gioco, che la matematica la conosce eccome.

Così Verani, insieme ad alcuni colleghi professori e ricercatori, ha creato Bet on math, un progetto finanziato dal 5 per mille del Politecnico di Milano che lui stesso definisce di “matematica civile”: «Vogliamo fornire ai ragazzi, ma non solo, un percorso di insegnamento della probabilità per dar loro gli strumenti per interpretare il gioco e l'azzardo da un punto di vista razionale, non magico. Vogliamo far capire loro quanto sia facile perdere e quali siano gli errori logici attraverso cui si finisce per buttare via un sacco di soldi in macchinette e gratta e vinci, fino a diventarne dipendenti».

 

Si tratta, soprattutto, di lavorare attorno a tre concetti chiave, il primo dei quali è quello di probabilità. Il motivo è piuttosto semplice: se è relativamente semplice, anche per un bambino, quantificare cosa significhi avere il 50% di probabilità che un determinato evento accada è molto più difficile capirlo quando le cifre diventano infinitamente superiori: «Per un tipo di Gratta e Vinci che si chiama "Il Miliardario" vengono emessi ogni anno 30 milioni di biglietti - spiega Verani -. Cinque tra loro valgono 500mila euro. La probabilità di vincere è una su sei milioni, quindi. È tanto? È poco? Davanti a un numero così piccolo la gente è un po' persa».

 Azzardo

Così Verani ricorre a un esempio: «Un gratta e vinci è lungo 15 centimetri - spiega -: se ne mettiamo sei milioni uno accanto all'altro, otteniamo una fila lunga 900 chilometri, la distanza che separa Milano da Monopoli, in Puglia. Una fila in cui c'è solo un biglietto vincente. Ecco cosa vuol dire uno su sei milioni».

Non è solo una questione di probabilità, tuttavia. Perché quando non sono gli ordini di grandezza a contare intervengono altri meccanismi psicologici che sospendono la razionalità e convincono il giocatore a tentare la sorte. Con le slot machine, ad esempio, il diavolo tentatore si chiama “quasi vincita”: «Accade spesso che, anche in caso di sconfitta, il simbolo immediatamente successivo o precedente a quello che è uscito sia quello che avrebbe garantito una vincita - spiega Verani -.. Quando accade il giocatore ha la percezione di aver quasi vinto, di esserci andato vicino e questo lo spinge a giocare di nuovo».

Peccato che la quasi vincita non esista, è un pensiero irrazionale, perché ogni giocata è indipendente dalla precedente, in qualunque gioco. E ci caschiamo più spesso di quanto crediamo: «Stiamo giocando a testa e croce e dieci volte di fila viene fuori testa. All'undicesimo lancio ti chiedo di scommettere. Tu cosa scommetteresti?», chiede Verani. Di pancia, la risposta è immediata: croce: «Sbagliato. C'è la stessa probabilità che esca testa o croce. La legge dei grandi numeri non esiste, nel gioco. Non esiste alcun riequilibrio nella matematica, nessuna compensazione».

«Nel lungo periodo la macchinetta, in media, ti restituisce il 75% di quello che giochi. È un gioco iniquo. Tutti i giochi d'azzardo sono iniqui»

Una sola cosa è certa, a ben vedere: la sconfitta. Ed è questo il motivo per cui chi di mestiere fa il “banco” guadagna così tanto: «Nel lungo periodo la macchinetta, in media, ti restituisce il 75% di quello che giochi - racconta ancora Verani -. È un gioco iniquo. Tutti i giochi d'azzardo sono iniqui». Anche i gratta e vinci: «Il costo del biglietto è di 5 euro e il premio medio è 3,5 euro - continua -Se tu continui a giocare tutti i giorni, la sicurezza che hai è che per ogni 5 euro che spendi te ne tornano 3,5».

Per far comprendere questa evidenza, Verani e i suoi colleghi hanno creato un simulatore dei diversi giochi, una app per lo smartphone. Serve a dimostrare, senza perdere soldi, che con un numero alto di giocate si perde sempre: « Perché chi gioca poco, o poco alla volta, non ha la minima percezione di questo. La fortuna non esiste, nel lungo periodo. Il gioco è studiato perché alla lunga non puoi che essere sfortunato». Alla faccia del folklore, del pensiero magico e dei quadrifogli nel taschino.

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata