Pd, Renzi e Bersani separati in casa

La direzione del Pd sancisce la nascita di due partiti. PD: è scissione tra Renzi e Bersani

 Di Massimo Falcioni, Affaritaliani 5.4.2016

La conta di ieri nella Direzione del Pd (98 a 13) dimostra come Renzi sia capace di far scoprire e mettere fuori gioco la minoranza interna, che abbocca all’amo, pur proseguendo nella vecchia logica di lanciare il sasso ritirando la mano. Il mini attacco “coerografico” di Cuperlo&C non dà e non toglie niente nel partito (alla base) e nel Paese se non incrementando la nausea per questa politica da teatrino ambulante.

 

Certo, il voto di ieri  sancisce la scissione di fatto fra maggioranza e minoranza del partito proiettando verosimilmente queste proporzioni anche sul piano elettorale. Il 10% poco più della sinistra in direzione equivale – voto più voto meno – a quel 3-4% circa che oggi avrebbe un partitino a sinistra del Pd, con Bersani, Cuperlo, Speranza&C. Cui prodest? Così adesso, cadute le maschere, la sinistra interna brancola sul predellino dell’ultimo vagone di un treno che Renzi conduce come vuole e dove vuole, per nulla preoccupato delle velenose frecciate di Cuperlo: “ Ti manca la statura del leader, anche se coltivi l’arroganza del capo”. Siamo al redde rationem, al punto di non ritorno.

O peggio, perché l’agonia può protrarsi fino al voto sul referendum costituzionale d’autunno, squagliando il pidì come una candela. Renzi è il primo a non essere interessato alle sorti del Pd, lavorando a metter su casa per proprio conto, rivolgendosi direttamente agli italiani. Bersani, Cuperlo, Speranza&C tengono duro, non accorgendosi di difendere oramai un bidone di benzina vuoto. Lo scontro politico che c’è oggi su questioni di fondo (a cominciare dal ruolo della sinistra, della magistratura, delle riforme ecc), diventa perciò  anche scontro personale, bruciando anche l’ultimo filo di convivenza comune anche se da separati in casa, l’ultimo brandello di mediazione. Ecco, quindi, i due Pd.

E’ la prima volta nella sinistra che ciò accade, quanto meno così platealmente, alla luce del sole, addirittura in diretta streaming. E’ l’ultimo atto di una battaglia interna che lascerà sul campo – con l’epilogo della scissione - solo “morti e feriti” degli addetti ai lavori o è il crocevia che porta a ridefinire anche fra i militanti e la gente comune i confini di come si intende oggi un partito, la sinistra, di come si regola la lotta interna, le alleanze, il rapporto fra partito e governo ecc.? Il Partito democratico di Matteo Renzi non ha più niente – sia come contenitore che sui contenuti – dei partiti principali dai quali è nato, Pci e Dc. Gli italiani sono delusi e stanchi dei partiti e della politica. Non sono interessati alle beghe interne del Pd e a quel che dice Cuperlo di Renzi, e viceversa. Ma la direzione del pidì di ieri ha avviato l’ultimo atto di una “mutazione” irreversibile, incompatibile fra chi crede ancora – non avendone però lo spessore carismatico della leadership – nella linea del “rinnovamento nella continuità” come valore e chi si appresta a ultimare  a colpi d’ascia l’opera brusca e brutale e non senza danni della “rottamazione”. Ci vorrà tempo, dentro il caos europeo e mondiale e con la sinistra smarrita ovunque, per fare maturare nel Paese questo processo di cambiamento che è culturale prima che politico. Non è tanto importante sapere come finirà la lotta intestina di un pidì in mano a un padre-padrone dalle molte facce e non privo di qualità qual è Renzi ma è decisivo capire oggi dove va l’Italia, tutt’ora nel tunnel di una crisi generale profonda, con molti incubi, a cominciare dalla irrisolta  “questione morale”. Lo sbocco, al di là delle etichette – partito della Nazione ecc. – è un partito “nuovo” senza ideali e storie passate, considerate da Renzi  e da un pezzo d’Italia solo zavorra.

Una sfida, anzi una scommessa. La “terza via” berlingueriana fu un’utopia della “via italiana” al socialismo. Sarà così, oggi, anche per la via indicata dai rampanti della Leopolda? Allo stato attuale, Renzi non ha avversari, né dentro il Pd, né fuori. Ma ha molti nemici. Il 13 maggio 1979, per fermare il Pci di Berlinguer, Bettino Craxi in campagna elettorale pronunciò in modo beffardo l’attacco decisivo: “Alzi la mano chi vuole il comunismo in Italia”. Ecco. Renzi non teme il Craxi che non c’è. Ma non si fida degli italiani che non si fidano di lui e del suo Pd che sarà. Per questo “abbaia ma non morde”, minaccia le elezioni ma le teme. Il referendum sulle trivelle e il voto dei comuni del 5 giugno sono passaggi solo apparentemente di poco conto. Ma, si sa, è sulle bucce di banana che si cade e ci si fa male. Ciò non vale per la minoranza del Pd: Bersani&C sono già caduti, restano a terra tramontiti. E non lo sanno.

Categoria Italia

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