Quei docenti di Bologna la rossa che si prostrano alla Mecca

L'Alma Mater sigla patti con le liberissime università saudite e boicotta Israele

Università di Bologna

di Giulio Meotti | 19 Aprile 2016 ore 12:29 Foglio

E’ arrivato a 338 firme l’appello italiano a boicottare l’università israeliana. Di questi docenti e ricercatori, un decimo proviene dall’Università di Bologna. Ma nella più antica università d’Europa nessuno ha avuto la premura di sollevare un problema morale di fronte al grande accordo che l’Alma Mater Studiorum ha appena siglato con l’Arabia Saudita. Non solo, ma alcuni dei protagonisti di questo patto accademico compaiono nell’appello contro i docenti israeliani. Bastava leggere il rapporto di Freedom House sugli atenei sauditi per capire che forse serviva un po’ di cautela in più visto che in ballo non c’è il greggio, ma la nostra cultura: “La libertà accademica è limitata, informatori monitorano le aule per il rispetto delle norme, come il divieto di insegnare filosofia e religioni diverse dall’islam”. Il patto con i sauditi, che durerà cinque anni, è stato lanciato dall’ex rettore Ivano Dionigi e sancito dal nuovo, Francesco Ubertini, entrambi silenti sui propri colleghi che ostracizzano lo stato ebraico.

Nell’interscambio con Riad si parla di “promozione del dialogo”, di pubblicare testi islamici, investendo in letteratura, filologia e musica, tramite conferenze e seminari, nonché lo scambio di professori e studenti. Forse i docenti bolognesi avrebbero dovuto sfogliare i libri usati nelle scuole saudite, dove gli ebrei sono chiamati “scimmie” e i cristiani “maiali”. Nell’accordo c’è anche l’archeologia sotto la cura di Nicolò Marchetti, massimo esperto in materia all’Università di Bologna: bizzarro, visto che dell’epoca di Maometto alla Mecca restano in piedi pochi edifici. Gli altri sono stati tutti rasi al suolo in nome della guerra all’“idolatria” per farne hotel di lusso o pompe di benzina. Come la tomba di Amina bint Wahb, madre di Maometto, o la casa di Abu Bakr, l’amico del Profeta. La stessa fine che farebbero fare alla tomba di Dante Alighieri a Ravenna, reo di aver cacciato Maometto all’Inferno. Non è il primo accordo di interscambio con i sauditi. Nel 2014, rettore e docenti bolognesi volarono a Riad per partecipare a una fiera sull’educazione alla presenza di Khalid bin al Angari, ministro per l’Istruzione saudita.

ARTICOLI CORRELATI  Anche il Canada liberal di Trudeau finisce col fare affari con la guerra in Yemen  Non sparate sui conservatori

Lo scorso 10 ottobre l’allora rettore Dionigi, assieme all’ambasciatore saudita in Italia, ha partecipato a un convegno dal titolo “Tolleranza nell’islam e coesistenza fra le religioni”. Sapeva il rettore che in Arabia Saudita non si può indossare una tunica, mostrare la croce, aprire una chiesa, che i cristiani sono perseguitati e che per arrivare alla Mecca per loro vige un apartheid autostradale? Fra i sostenitori dell’accordo coi sauditi c’è Giulio Soravia, direttore del Centro di scienze dell’islam a Bologna. La firma di Soravia, che già nel 2011 fu inviato dal rettore a partecipare a una conferenza in Arabia Saudita, campeggia anche nell’appello contro Israele. Mentre l’università stringeva patti con Riad, il Gran Mufti saudita stabiliva che “le donne che guidano sono prede del demonio”.

Che ne pensano le laicissime femministe dell’Università di Bologna la dotta e la rossa? Oltre a sottomettersi a uno dei regimi più oscurantisti al mondo, i docenti potevano dimostrare un po’ di solidarietà all’unica democrazia del medio oriente, Israele, e ad Angelo Panebianco, un loro collega che fa lezione scortato. Intanto, a Riad, un intellettuale di nome Raif Badawi attende in carcere il prossimo ciclo di frustate, colpevole di “insulti all’islam” e di essere un “liberale”. Molto di più di questi cattedratici con la doppia morale.

Categoria Italia

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata