MANUALE DI CONVERSAZIONE. APERICENE & C.

Come fare bella figura in salotto senza necessariamente sapere quel che si dice

Apericene & C.

Perversione metropolitana o momento di socialità alimentare? Fenomeno di costume o semplice puttanata? In ogni caso, ecco cosa dirne senza starci troppo a pensare.

di Andrea Ballarini | 11 Giugno 2016 ore 06:08

- Dissertare sui limiti epistemologici di aperitivo, happy hour e apericena. Dove finisce l’uno e dove comincia l’altro? Chiederselo.

- Avversare l'apericena. Considerarla un aperitivo narcisistico o una cena con problemi di autostima.

- Interrogarsi sul genere di apericena: è maschile o femminile? Lamentare il silenzio della Crusca.

- Aperisalame, apericozza, aperipiada, aperirap, aperifish, aperisushi, aperipizza, aperiqualcosa: evitare. In generale deplorare l'uso di "aperi" come prefisso.

- Evocare con nostalgia archeologica gli aperitivi pre-happy hour, quelli con Campari Soda, due patatine rinsecchite e via andare. Plaudire alla loro dignitosa assenza di aspirazionalità.

- Lamentare che tutti i locali da apericena, più sono cool e meno si riesce a vedere cosa c’è nel piatto, causa scarsa illuminazione. Chiosare che la coolness è direttamente proporzionale alla musica tonitruante e inversamente proporzionale a quanto si riesce a capire cosa dice il proprio vicino.

- Frequentare con parsimonia i locali da apericena, ma quelle poche volte incappare regolarmente nel dj set. Dolersene. (Vedi seguente)

- Rimpiangere i tempi quando la musica era solo un tappetino sonoro anodino, al massimo sconfinante in vocine esangui e suoni languidamente lounge. Aborrire il dj set.

- Se si discute dell’origine dell’apericena e qualcuno afferma essere nata a Milano all’inizio del secolo, ribattere con sicumera che di altro non si tratta se non della versione nostrana delle tapas. Se il sostenitore dell’origine milanese è particolarmente spocchioso, umiliarlo rivelandogli che il vero antesignano è la merenda “sinoira” (serale), assai popolare tra i contadini piemontesi. Quindi abbandonare la conversazione per massimizzare l’effetto.

- Fare sottili distinguo tra aperitivo, happy hour e apericena. Citare Antonio Benedetto Carpano che inventò il Vermouth a Torino nel 1786 lascia intuire un importante background culturale.

- Disprezzare lo spritz. Ordinario.

- Ricordarsi sempre di parlare di mixology. Non è necessario sapere esattamente che cosa sia.

- I più coraggiosi possono baldanzosamente ordinare una Tachipirinha. Il supremo godimento consiste nel lasciare il dubbio che non si stesse scherzando.

- Il finger food. Trovarlo sempre al di sotto delle aspettative, nondimeno accaparrarsene grandi quantità da accatastare con arditezza ingegneristica su piattini pigmei.

- Commiserare il mesto tramonto della salvia fritta, per una breve stagione avanguardia culturale di ogni apericena di qualità.

- Lamentarsi che mangiare stando semiaccartoccaiti su dei divanetti ostacola un’efficiente digestione. Del resto, si sa, il progresso vuole le sue vittime.

- Con piglio etologico discettare sulle differenze del panorama faunistico offerto da aperitivo, happy hour e apericena.

- "Il cocktail, in realtà, è solo un'occasione di incontro. È una festa alla quale ognuno si invita da solo per farsi un po' di festa." (Marcello Marchesi)

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