Lettere al Direttore Il Foglio 8.9.2016

Partiti in crisi di identità: da nessuno tocchi Caino a Nettuno tocchi il grillino. Se è sopravvissuto a 26.000 Big Mac forse possiamo sopravvivere a un’altra settimana di Raggi-gate.

1-Al direttore - Partiti in crisi: da nessuno tocchi Caino a Nettuno tocchi il grillino.

Maurizio Crippa

Il tonno: ci vediamo in Campidoglio, sarà un piacere.

2-Al direttore - A Bruxelles vogliono un'aliquota di tassazione unica per le imprese. "Hanno un problema nella testa. Funziona a metà". Cit.

Pasquale Annicchino

3-Al direttore - Se Don Gorske, dal Wisconsin, è sopravvissuto a 26.000 Big Mac forse possiamo sopravvivere a un’altra settimana di Raggi-gate.

Jori Diego Cherubini

4-Al direttore - Io penso che il Fertility day sia una boiata pazzesca. I discorsi dell’Ascensione contro i “disertori della paternità” e le visite di donna Rachele alla Casa della maternità e dell’infanzia, meravigliosamente immortalate dall’Istituto Luce, avevano almeno un’allure patriottica e una dignità ideologica, nulla a che vedere con gli slogan contemporanei a suon di clessidre e cicogne. Across the pond, dall’altra parte dell’oceano, nelle mummy wars ingaggiate da manager di Facebook e alte dirigenti della Casa Bianca, si dibatte su come si possano conciliare maternità e carriera, e a che prezzo. Da noi invece impazza la ramanzina statale sulla fertilità come “bene comune”, un diversivo per alimentare un insopprimibile senso di colpa se usiamo la pillola anziché affidarci al coito interrotto. Nel magma retorico ho letto con interesse le riflessioni di Costanza Miriano: a differenza delle strampalate spiegazioni del ministro Lorenzin, lei centra il punto e ha il coraggio delle proprie idee. La questione è culturale, non economica. Chi vuol fare i figli, semplicemente li fa. E poi si arrangia, com’è sempre accaduto, tra nonni e zii, carrozzine nel tinello, vacanze low cost e pannolini in offerta. Non è il “precariato contrattuale” a farci desistere dal desiderio di avere un figlio. Se pure spuntasse un asilo pubblico in ogni isolato, non vi inonderemmo di bambini, potete starne certi. Il perché è presto detto: il destino delle donne è vivere, non procreare. Miriano ha il coraggio delle proprie idee perché non ci gira attorno: “Il cuore del problema – lei scrive – è il pansessualismo nel quale viviamo immersi, certi come siamo di avere il diritto di vivere ogni esperienza seguendo le nostre emozioni, separando però la sessualità dalla possibilità di dare la vita”. Il problema è la “mentalità contraccettiva”, vale a dire pillole e preservativi che ci conferiscono il potere di scegliere se e quando diventare genitori. Ecco, il Fertility day puzza di paternalismo statale perché pretende di spiegare alle donne quello che già sanno: più passano gli anni e meno sarete “fit to giving birth”. Per paradosso, i sostenitori dell’iniziativa si appellano alla “maternità responsabile”, io però domando loro: siamo più responsabili oggi, che possiamo scegliere se e quando diventare genitori, o eravamo più responsabili ieri, quando si sfornava la prole come la torta dal forno? Miriano esprime nostalgia per i bei tempi antichi, ricorda la nonna che partorisce il quinto figlio in tempo di guerra senza sapere neppure se il marito colonnello sarebbe mai tornato a casa. Al liceo avevo una compagna di classe, famiglia cattolica ultrapraticante, che aveva sei fratelli. Quando veniva il momento della gita annuale, lei doveva intavolare una lunga negoziazione, e due volte su tre non partiva (per equità inter fratres). Quando si è trattato di scegliere l’università, Bari e Lecce, le città più vicine, sono state le uniche opzioni alla sua portata.  Si campa lo stesso, per carità, ma dev’essere chiaro che la famiglia numerosa non è elisir di felicità. E’ luogo di rinuncia. Non è un caso che oggi a fare più figli siano le persone mediamente benestanti, che possono pagarsi due tate e gli asili privati, senza troppi sforzi. Qualcuno vede in questo la decadenza dei costumi, io vi scorgo una evoluzione sociale spontanea. A ciascuno dei nostri figli vogliamo dare il massimo delle opportunità. Siamo esseri umani, non conigli. E siamo pure più egoisti, indubbiamente. Non perché il condom ci abbia corrotto l’anima (piuttosto i dati che la Miriano trascura, sulla disinformazione sessuale dei nostri giovani, sono allarmanti), ma perché vogliamo goderci la nostra spensierata giovinezza. Quanto alla mistica della genitorialità, non è meno egoistica la scelta di mettere al mondo una vita (che non te l’ha chiesto), non è meno egoistico fare un figlio per il desiderio, individuale, di allevare una creatura che dipenderà da te, non è meno egoistico concepire, come spesso accade, per imprimere una direzione a un rapporto di coppia, per prolungarlo oltre, per definire un progetto che ci tenga uniti. I figli si fanno per sé, e per nessun altro.

Annalisa Chirico

5-Al direttore - Gentile ministro Lorenzin, non aggiungerò inutilmente la mia voce alle traboccanti reazioni sul Fertility day. D’altro canto, scandalizzarsi oggi del Fertility day è fuori tempo massimo: non è altro che una delle tante misure previste dal Piano nazionale per la fertilità, da lei presentato a maggio 2015. E’ nelle sue 137 (137) pagine di educazione alla fertilità, più che nell’inutilità di una giornata ad essa dedicata, che avremmo dovuto scorgere già da un anno la retorica del paternalismo di stato. Non credo nemmeno che ci si debba scandalizzare per la contraddizione di uno stato che non sa garantire il futuro ai giovani e che li chiama a prolificare come li chiamasse alle armi. Fermo restando che, a mio avviso, lo stato più che non garantire il futuro ha per fisiologica missione quella di rubarlo, sono anche persuasa, dal confronto con la mia generazione, che, se non si fanno figli, i motivi hanno a che vedere con lo stile di vita e con l’incapacità culturale di fare spazio ai bambini e alle madri, più spesso di quanto non abbiano a che vedere col debito pubblico o col sistema previdenziale. Mi rivolgo tuttavia a lei per suggerirle una banale iniziativa che non vedo nelle 137 (137) pagine del Piano nazionale, ma che darebbe un segnale coerente al richiamo di stato alla genitorialità. La legge italiana proibisce la pubblicità di qualsiasi tipo o altre forme di incentivo per la vendita di latte artificiale per i più piccoli: il latte di tipo 1 non può essere reclamizzato, né consegnato in campioni omaggio, non può essere oggetto di sconti e offerte, non può costituire il contenuto di sponsorizzazioni di eventi. Il divieto, coerentemente con le linee dell’Oms, sarebbe funzionale a tutelare l’allattamento al seno, ostacolando le iniziative di marketing di latte sostitutivo di quello materno. Dare ai figli il latte materno è sicuramente l’opzione migliore, e l’Oms lo ripete in tutte le lingue. Tuttavia, il latte artificiale non necessariamente è una scelta voluta: ci possono essere problemi di salute o semplicemente difficoltà di vario tipo nell’allattamento che impongono questo nutrimento. Quand’anche fosse una scelta voluta, siamo sicuri che non sia degna di rispetto in quanto scelta inerente la vita privata delle persone e il modo in cui decidono, all’interno delle mura domestiche, come prendersi cura dei propri figli? Impedire per via legale le forme di marketing è il segnale, simbolico per quanto marginale, di uno stato che non sa stare al suo posto. I giovani non hanno bisogno di un’educazione pubblica alla genitorialità. Queste sono scelte private di cui le istituzioni non dovrebbero impicciarsi. Occorre invece, questo sì, evitare di scoraggiarli dal diventarlo. E per fare ciò, prima di urticanti iniziative come il Fertility day, partiamo dalle cose semplici, come riconoscere che il nutrimento da dare nei primi mesi di vita non è un affare di stato.

Serena Sileoni

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