Lettere al Direttore Il Foglio 6.10.2016

Roma inghiotte i leader. Costituzione e e guerra dei due mondi. Zagrebelsky e M5s politica al riparo della presunta superiorità

1-Al direttore - Benigni vs Grillo. Poi dice che la tv non si deve rinnovare.

Giuseppe De Filippi

2-Al direttore - Raggi, Marino, Alemanno. C’è un drammatico filo conduttore che lega questi tre personaggi, protagonisti loro malgrado di una della pagine più malinconiche della storia politica della Repubblica. Essi sono i tre ultimi sindaci di Roma e incarnano clamorosamente la malattia gravissima che ammorba la capitale e quindi la nazione intera. Questa malattia si presenta come un impasto molliccio e decisamente schifoso, fatto di connivenze illegali piccole e grandi, di pasticci amministrativi e regole aggirate alla meglio, di imprenditori che usurpano due lettere dell’alfabeto, la “i” e la “m”, essendo soltanto dei prenditori di denaro pubblico in cambio di opere mai finite, mai ben fatte, mai costate il giusto. E’ la Roma del Rosso e del Nero, Buzzi e Carminati, la Roma di Malagrotta e dei sampietrini che non stanno mai dritti, la Roma che non riesce neanche a finire una linea della metropolitana, il cui costo finale è nelle mani di Nostro Signore (e la data di consegna dell’opera pure). Roma buco nero della Repubblica, questa è la verità. Otto anni fa Gianni Alemanno diventa sindaco, primo uomo orgogliosamente di destra ad affacciarsi dal balcone sui Fori Imperiali. Porta in Campidoglio la sua storia, densamente romana, nel bene e nel male. Ci arriva forte di un’esperienza ministeriale che ne ha costruito il profilo dell’uomo serio di governo, a suo agio con l’abito grigio che si conviene ai maggiorenti dello stato. Resta in sella cinque anni, che però si rivelano disastrosi sotto il profilo politico. Molteplici cambi di composizione della giunta, coalizione rissosa, salvataggio finanziario solo grazie all’intervento del governo. E ancora: pochissimi progetti conclusi, troppi scandali e scandaletti. Per finire al 2013, quando l’intera destra romana si dissolve, con la morte per soffocamento di Alleanza nazionale. A quel punto arriva Ignazio Marino, ultima invenzione di Goffredo Bettini. Dice molte cose giuste e prende lodevoli appunti sull’amato quadernetto. Ma si rivela presto un pasticcione, un abusivo della politica intesa come attività professionalmente svolta. Certo, si scontra con una sinistra romana che definire impresentabile è poco, ma lui si dimostra non all’altezza del compito, dove per compito s’intende quello di gestire al meglio il parcheggio dell’automobile di famiglia. Sul compito di sindaco della città nemmeno vale la pena di avviare un ragionamento. Completa l’opera Virginia nostra, sulla quale spende parole di saggezza Vincenzo De Luca. In verità noi dovremmo tifare per lei, perché il successo romano dell’allegra brigata Raggi sarebbe una gran buona notizia: farebbe, a un tempo, del Movimento 5 stelle una risorsa di governo della nazione e costringerebbe destra e sinistra a guardarsi davvero allo specchio, obbligando i Gasparri, i Tajani, gli Orfini e gli Zingaretti e tutti gli altri a un profondo esame di coscienza. Invece la vicenda ha già preso i tratti della farsa, riassumibile in un conteggio che nessuno è più in grado di tenere: quanti sono e/o quanti sono stati gli assessori al Bilancio in tre mesi di vita della giunta. Risposta impossibile da fornire, salvo rivolgersi alla Bocca della verità. Certo, Roma ha oggi alla procura della Repubblica un uomo che tiene la barra dritta e spinge nella giusta direzione. Ma, se possibile, non vi è prova più angosciante di questa dello stato d’agonia conclamata di una sottospecie di classe dirigente. Meno male che c’è Totti. Ma è a fine carriera. #sapevatelo.

Roberto Arditti

3-Al direttore - “Care amiche e cari amici del Movimento 5 Stelle, lo straordinario risultato del voto amministrativo attribuisce al vostro Movimento una grande responsabilità: dare un contributo decisivo alla principale battaglia democratica che aspetta il Paese, cioè il referendum costituzionale […]”. Per chi l’avesse dimenticato, è l’incipit dell’appello lanciato il 16 giugno scorso dal Consiglio di presidenza di Libertà e Giustizia (prime firme Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassare, Nadia Urbinati) per costruire, nelle piazze e nella rete, “un’opposizione popolare ad una revisione costituzionale divisiva e imposta da un parlamento delegittimato”. “Per affermare le ragioni del No – prosegue l’appello – il ruolo del Movimento appare cruciale”. Naturalmente, le integerrime Vestali della nostra Costituzione fanno finta di non sapere che il M5s è tecnicamente un’autocrazia, si prefigge di cancellare l’articolo 67 della Carta (introducendo il vincolo di mandato), oppone alla democrazia rappresentativa la democrazia diretta (sotto forma di un delirante sovietismo del clic). Ma che importa? Infatti, per Zagrebelsky e soci “è vitale che il primo partito d’Italia [ormai ne sono certi] sappia guardare all’interesse della Repubblica: mostrando senso di responsabilità, lungimiranza e amore per le istituzioni e il bene comune dei cittadini”. Ricordate “Il tradimento dei chierici” di Julien Benda? Nel 1927 lo scrittore francese se la prendeva contro i rappresentanti di quella corporazione intellettuale che fa politica al riparo della sua presunta superiorità e imparzialità. Novant’anni dopo, in Italia sembra ancora afflitta dallo stesso vizietto.

Michele Magno

Dettagli spassosi: il fronte del No, dopo aver speso fiumi di inchiostro a dimostrare che bisogna votare No perché il fronte del Sì è il fronte dei poteri forti, oggi esulta e si rallegra per cosa? Per l’ingresso del Financial Times nel meraviglioso fronte del No. I campioni del No, da Brunetta a Zagrebelsky, ci insegnano da anni che i poteri forti, guidati ovviamente dalla massoneria, dal Bilderberg, dalla Trilateral, dalle lobby dei banchieri, lavorano per lo sfascio del paese e anche per questo da tempo i Brunetta definiscono il Financial Times, pensando probabilmente ai molti editoriali di elogio dedicati negli ultimi anni a Gianfranco Fini, a Giulio Tremonti, a Luigi Di Maio, “un giornale che non ne azzecca mai una, si pensi ai fiumi di parole scritti sulla Brexit”. Risate.

4-Al direttore - sono un suo lettore dal primo giorno. Non posso chiudere la giornata senza avervi sfogliato. Pura esigenza e necessità. Ho provato ad abbonarmi online. Ho retto bene, con ostinazione per un po’ di tempo. Niente! Non ce la faccio a non possedere una copia cartacea. Più praticità, più consonanza morale con la scrittura. Profumo, rumore, collezione, archivio personale! Non posso abbonarmi perché nel posto in cui sono confinato arriverebbe il giorno dopo… magari fosse solo il pomeriggio… allora non mi resta che comprarvi in edicola. La mia copia è sempre prenotata, garantita e personale. Grazie per farmi arrivare la vostra copia in zona! Auguri per il numero del lunedì: novità e originalità. Un giorno tutti i quotidiani saranno fatti come il Foglio.

Massimo Capacciola

5-Al direttore - A me succede di sentire una forte propensione per il Sì proprio perché con la vittoria del No si aprirebbe una via non verso il trionfo di una coalizione Lega/Forza Italia o Partito democratico/Forza Italia, ma ad una crescita del movimento nichilista di Grillo. Ammetto che la riforma costituzionale votata dal Parlamento sia criticabile, ma trovo scandaloso – e da incoscienti – che molti, che pure l’hanno votata, promuovano il No al referendum. Con molta stima per la Sua conduzione del Foglio e per l’obiettività con la quale al Teatro Parenti ha svolto le Sue interviste.

Francesco Molinari

6-Al direttore - Sono un’affezionata lettrice del Foglio dall’inizio anche se faccio sempre più fatica a restarlo. A proposito del referendum, è possibile solo ricordare che il boy scout Renzi ha imposto senza neanche permettere la discussione in Parlamento una legge che tende al matrimonio omosessuale? E’ possibile ricordare che Renzi non perde occasione per vantarsi di questo diritto di civiltà che finalmente è riuscito a far approvare? E’ possibile allora che “la guerra dei due mondi” sia un pochino più complessa di come la si dipinge e che l’opzione a favore del veto non c’entri troppo? Renzi ha ragione: il No ha una fortissima motivazione nell’avviso di sfratto che gli rivolge. Una lettrice stranita.

Angela Pellicciari

Cara Angela, è certamente tutto più complesso, lo è sempre, ma come forse ti sarai accorta stai cambiando discorso, come spesso capita quando ci si occupa di referendum costituzionale, e stai scambiando l’oggetto della riforma con il soggetto della riforma e, in definitiva, stai dicendo che voterai No al referendum costituzionale non per esprimere la tua opinione sulla riforma costituzionale ma per esprimere la tua opinione sul presidente del Consiglio. Scelta legittima e che ha molte motivazioni valide. Ma vorrei ricordarti un piccolo dettaglio: fino a quando ci sarà una Costituzione come quella che involontariamente stai difendendo, aumenteranno le possibilità che vi siano presidenti del Consiglio che si permetteranno di legiferare su argomenti così delicati senza avere un chiaro mandato popolare, imponendo, come giustamente ricordi, una legge, per di più molto delicata, senza neanche concedere la discussione in Parlamento (le unioni civili, in effetti, sono state votate con la fiducia). Ti sorprenderai, forse, ma alla fine, su questo punto, la pensi esattamente come uno dei massimi sponsor della riforma costituzionale, Giorgio Napolitano. Ricorderai forse cosa disse Napolitano proprio al nostro giornale su questo punto: “E’ dal 1983 che il Parlamento cerca invano di riformare la seconda parte della Costituzione e sarebbe una sciagura farsi sfuggire oggi l’occasione di superare il bicameralismo paritario, non dando ai governi del futuro maggiore stabilità, a partire dal momento della fiducia in un solo ramo del Parlamento, e garantendo maggiore linearità e certezza di tempi al processo legislativo: solo così si può uscire finalmente da quella spirale perversa di esecutivi che mortificano il Parlamento a colpi di decreti, di voti di fiducia e maxi emendamenti”. Grazie e un abbraccio.

7-Al direttore - Caro Cerasa, “bisogna difendersi dalle colonizzazioni ideologiche” ha detto il Santo Padre. Con deferenza, se ci indica anche come, gli saremmo sinceramente grati. Al sottoscritto è stato impedito, proprio dalle autorità vaticane, di esporre un cartello durante l’Angelus, in cui avrebbe chiesto a Papa Francesco di scomunicare chi voleva introdurre altre forme di unione. Avrebbe comunque rappresentato, suppongo, una forma di difesa. Capisco l’anno della misericordia. Ma chi ha misericordia dei tanti bimbi che per legge nascono privi della figura paterna o materna nelle condizioni “industriali” poi che sappiamo? E chi avrà mai misericordia della mente e dello sviluppo di quei bimbi cui siamo costretti a spiegare che alcuni bambini hanno due papà o due mamme?

Vittorio Colavitto

8-Al direttore - D’accordo con Giuliano Ferrara. Sandro Bondi, che non è mai stato “vergin di servo encomio” nei confronti di Silvio Berlusconi, avrebbe dovuto risparmiarsi il “codardo oltraggio” della sua lettera al Foglio.

Giuliano Cazzola

9-Al direttore - Le ricerche condotte sui giovani in età scolare dimostrano che, in Italia, ancora agiscono sull’immaginario adolescenziale stereotipi che impediscono di pensarsi liberamente, di proiettarsi nel futuro e di disegnare il proprio destino. La promozione dell’uguaglianza di genere, della non discriminazione e della parità tra donne e uomini, così come la prevenzione e il contrasto ai discorsi di odio e ai fenomeni di violenza, sono dunque fondamentali per educare ragazze e ragazzi alla civiltà nei rapporti personali, per vincere le resistenze e per aprire le menti alle domande e ai dubbi. A condizione, però, che tutto questo venga proposto in modo limpido, serio e non ideologico. L’impressione generale che si ricava oggi, invece, è che, in questo ambito, il campo sia stato occupato, da una parte, da modelli educativi che per combattere l’omofobia si orientano verso la totale neutralizzazione dei sessi, e, dall’altra, da tentativi di restaurazione della differenza tra i sessi secondo la tradizionale divisione gerarchica dei ruoli tra uomini e donne, con l’omosessualità ricondotta a devianza. Per superare tutto questo serve chiarezza, a cominciare da cosa si intenda per gender. Questo concetto è servito e viene ancora utilizzato per individuare tutti quegli aspetti e quei comportamenti che sembrano appartenere per natura ad un sesso ma sono in realtà l’effetto di consuetudini, tradizioni e regole culturali modificabili al fine di superare discriminazioni e diseguaglianze. Solo successivamente la categoria è stata legata al rifiuto del modello donna-uomo che ha messo in discussione l’identità sessuale fino a neutralizzare le differenze. Ritornando al concetto iniziale di gender, è dunque evidente che educare i giovani a superare gli stereotipi di genere - che attribuiscono alle donne e agli uomini ruoli sociali fissi e comportamenti vincolati al sesso - e insegnare loro ad accettare orientamenti sessuali differenti da quelli prevalenti, non vuol dire affermare la neutralizzazione del femminile e del maschile. Perché l’obiettivo non è contrastare le differenze ma le diseguaglianze. Una definizione non equivoca di genere, che muova dalla differenza tra femminile e maschile e sia legata al ruolo che assumono nella società donne e uomini, potrebbe quindi aiutare a superare molti degli equivoci in cui oggi si cade. E’ un compito che sottoporrò alla Commissione Equality and Non Discrimination del Consiglio d’Europa e che sono certa verrà svolto nel migliore dei modi. Potremo così finalmente tornare a dare all’uguaglianza di genere il giusto significato, che riguarda le pari possibilità, per donne e uomini, di incidere sulla società. Un obiettivo fondamentale per tutelare i diritti umani, migliorare il funzionamento della democrazia, incentivare la crescita economica e la competitività di ciascun paese.

Elena Centemero Presidente Commissione Eguaglianza e Non Discriminazione del Consiglio D’Europa

Per accedere all'area riservata