Lettere al Direttore Foglio 14.10.2016

D’Alema e la foto di (de)vasto, applaudito da Fini, Dini, Ingroia e da tanti altri virgulti della “Casta  Diabete e discriminazione territoriale

1-Al direttore - Ho letto con molto piacere gli interventi di oggi: grazie, mi sento meno solo. Grazie anche per avermi fatto conoscere Piercamillo Falasca: si può dire di aver trovato un amico leggendone un articolo? Grazie.

Gianandrea Redaelli, Varese, 1980

2-Al direttore - “Chiediamo scusa alle società di rating, a JP Morgan, se gli italiani vogliono scriversela loro la loro Costituzione. Siamo ancora un paese sovrano!”. Così, mercoledì, Massimo D’Alema, applaudito da Fini, Dini, Ingroia e da tanti altri virgulti della “Casta”. Non c’era Achille Occhetto che, nel 1994, “Baffino” rottamò, dopo la pesante sconfitta della “macchina da guerra” dei progressisti contro Berlusconi, dopo aver bocciato l’allora segretario del Pds come “tecnicamente obsoleto”. E assestando all’eterno rivale, Veltroni, quello che Eugenio Scalfari (che sosteneva “Uolter”) definì, su La Repubblica, il “pugno del partito”. Quanto alla denuncia dalemiana sull’eccessiva influenza dei “poteri forti”, correva l’anno 1999 quando l’avvocato Guido Rossi, presidente della Consob, commentò,  con una velenosissima battuta (“A Palazzo Chigi c’è l’unica merchant-bank dove non si parla inglese”), la benedizione dell’allora premier, D’Alema, alla scalata a Telecom da parte di Colaninno, della razza padana di Gnutti, con la partecipazione di Mps e delle coop rosse di Unipol. Alcuni commentatori, meno giovani di Renzi, ricordano bene il ruolo di D’Alema in vicende, varie e non troppo felici, dell’economia e della finanza italiane degli scorsi anni. Qualche mese fa, l’ex deputato di Gallipoli, tra mille critiche a Renzi, gli ricordò che “Blair prese il principale avversario, Gordon Brown, e lo fece cancelliere dello Scacchiere”. E il pensiero andò ai giorni in cui a Massimo, 67 anni, venne preferita da Renzi, per ben due volte, donna Federica Mogherini, 43 anni, prima come ministra degli Esteri, poi come commissaria alla politica estera comunitaria, eccedendo, forse, nell’umiliare D’Alema. Ma ricorrendo alle stesse armi, il cinismo e la perfidia e il “pugno del partito”, in passato utilizzate dal primo premier post comunista contro Occhetto, Prodi, Marini e Veltroni.

Pietro Mancini

Durante la rimpatriata con Fini, Dini, Ingroia e compagnia, durante quella che potremmo definire la foto di (de)Vasto, D’Alema ha lanciato di fatto un nuovo e suggestivo comitato referendario: noi Merchant bank per il No.

3-Al direttore - Nel prosieguo della campagna referendaria è bene che Renzi non segua la minoranza del Pd sul terreno delle lotte interne di potere, evitando di rinchiudersi nel recinto degli stravolgimenti dell’Italicum. Meglio prestare attenzione alle parole che il Presidente della Bce, Draghi, ha pronunciato nel corso della conferenza stampa tenuta al termine del vertice di Washington dei governatori centrali e dei ministri finanziari del G20 della scorsa settimana. Draghi, dopo avere rammentato che il Qe finirà il prossimo marzo, ha sollecitato tutti i governi a procedere spediti con le riforme, tra cui quelle “… politiche e costituzionali…”, che “… possono migliorare la politica monetaria…”. Come dire che strategie monetarie e finanziarie espansive sovranazionali e nazionali, nonché piani di sviluppo di imprese italiane importanti richiedono un contesto di riferimento politico e costituzionale che sia in armonia con tali scenari. Il che significa avere un processo di selezione, decisione ed esercizio del potere politico capace di esprimere stabilità di governo e costanza di politica economica, quali fattori sistemici in grado di favorire un clima di sicurezza negli operatori e nelle imprese che si assumono rischi ed effettuano investimenti. E’ nell’adeguamento della Costituzione formale alla Costituzione materiale in atto nel paese che riposa la ragione ultima del Sì al referendum. Ed è qui la migliore risposta che Renzi possa dare a chi vorrebbe ridurre la battaglia referendaria a una resa dei conti interna al Pd.

Alberto Bianchi

4-Al direttore - Mi chiamo Andrea, ho 43 anni, come alcuni milioni di italiani ho il diabete ma a differenza di molti di questi miei concittadini mi viene negata una forma fondamentale di assistenza che mi consentirebbe una vita quasi normale. La mia regione, assieme a qualche altra sparsa per il paese, ha deciso di concedere a noi malati l’uso di un solo apparecchio diagnostico per il controllo della glicemia, che limita molto la mia qualità della vita. I malati di Toscana e Lazio, per fare due esempi, possono scegliere fra più apparecchi che il Servizio sanitario passa loro quello più adatto alle varie forme e fasi del diabete. A noi del Piemonte questa possibilità viene negata. Avrei bisogno di un apparecchio che conteggi i carboidrati nel sangue così da  poter decidere di mangiare un piatto di pasta più grande una volta ogni tanto o persino un pezzo di dolce. E questo aumenterebbe di molto la qualità della mia vita. Ma in Piemonte non lo posso  fare: devo emigrare in Toscana per vedermi riconosciuto un diritto così banale? Cos’è questa se non discriminazione territoriale? Saluti.

Andrea

Se i mitici costi standard regionali della Sanità funzionassero, forse non ci sarebbero più discriminazioni. Vedremo dopo la riforma Boschi.

Categoria Rubriche

Per accedere all'area riservata