Lettere al Direttore Il Foglio 13.11.2015

D’Alema a Roma per rottamare la società civile. Tony e gli smartphone. Le indagini, ovviamente, sono state coordinate dal mitico pm anglo-partenopeo Henry John Woodcock. Un nome che garantisce nove volte su dieci l’innocenza dell’imputato. #Vincenzostaisereno

1-Al direttore - La grancassa mediatica su Vincenzo De Luca si è guardata bene dal sottolinearlo (per pudore? per scaramanzia?), ma tutto nasce da un’inchiesta della procura distrettuale antimafia di Napoli sui rapporti tra camorra e politica nella Sanità campana. Le indagini, ovviamente, sono state coordinate dal mitico pm anglo-partenopeo Henry John Woodcock. Un nome che garantisce nove volte su dieci l’innocenza dell’imputato. #Vincenzostaisereno.

Michele Magno

2-Al direttore - Le “pazze idee” del Foglio più sono pazze più sono adorabili. E sono pazze e adorabili quando (cioè sempre) vanno in direzione ostinata e contraria al Giornalista Collettivo e al sentiment (così dicono i mercati) della pubblica piazza. Massimo D’Alema al Campidoglio, quindi. Il Foglio, anni fa, lo candidò pure a un altro e più alto colle: ma andò come andò. E infatti. Pubblica piazza e Giornalista Collettivo, cioè tutti i media o quasi, tutte le piazze senza quasi, vivono, si sa, nella galassia della doxa, quella di cui si parla nella  “Retorica” di Aristotele. E’ la galassia del verosimile (ne fornì una sintetica analisi Barthes nel suo manuale dedicato alla “Retorica antica”) in opposizione al dominio del vero che è della Dialettica platonica. E il verosimile non può che essere il territorio medesimo della politica, avendo essa a che fare con piazze, e piazze mediatiche. Ecco perché la pazza idea fogliante andrà, con divertita  consapevolezza, a sbattere. L’orizzonte della retorica mediatico-politica di oggi non può includere un D’Alema, il verosimile non permette di dire di pelo sullo stomaco o di cinismo. Né, visto che nell’editoriale di ieri si parlava di “un pezzo di storia vera comunista”, di “mani sporche” alla Sartre. Ha invece sfruttato fino all’ultimo milligrammo la narrativa delle mani pulite e della rottamazione, quella dei palazzi di cristallo. House of Cards, non a caso così citato da chi detesta Renzi o ne è rimasto vittima, ne è lo specchio scuro: ma la politica come noir non è genere narrativo che possa essere venduto in campagna elettorale. E poi: un Renzi che sfida l’impopolarità? D’Alema e i D’Alema vanno contro la doxa, e amen. Se poi l’editorialista fogliante pensava, candidando l’ex premier, a operazioni interne al Pd, be’, questa (“disciamo”…) è, sarebbe, tutta un’altra storia. Ma non più una pazza idea.

Luca Rigoni

Al Quirinale, per questioni di palazzo, D’Alema è sempre stato non scelto per paura dei franchi tiratori. A Roma, paradossalmente, un D’Alema contro un grillino potrebbe essere un buon antidoto – non solo per il centrosinistra – per dimostrare che la società civile a Cinque stelle è semplicemente unfit to lead.

3-Al direttore - Una voce fuori dal coro delle gogne mediatiche, quella di Piero Tony che ha il coraggio di descrivere come molti processi in Italia siano falsati dalla spettacolarizzazione delle indagini, dalle gogne mediatiche che anticipano la sentenza di terzo grado, così che il giudicante inizia il dibattimento non da “vergine” ma suggestionato dalle notizie del “dibattimento mediatico”. Ci siamo dimenticati delle basi elementari di uno stato di diritto? Non si vuole mettere in dubbio la professionalità di molti magistrati che svolgono il loro lavoro senza bisogno di spettacolarizzare arresti o indagini con giornalisti compiacenti, come è successo per l’arresto di quel signore anziano accusato di pedofilia e per il quale giustamente è stata applicata la privacy e che giustamente non è stato sbattuto come un mostro in prima pagina. Un giornalista del Corriere è riuscito a scoprire che l’imputato è un magistrato in pensione.

Daniel Mansour

Al direttore - Che palle a tavola senza smartphone. E poi come fai a mandare la foto della amatriciana?

Giuseppe De Filippi

4-Al direttore - Mettiamola così: con il bollino  “made in west bank” o “made in settlement” l’Unione europea riconosce di fatto gli insediamenti israeliani.

Valerio Gironi

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