Lettere al Direttore Il Foglio 19.12.2015

Banche e Renzi: come ti trasformo un caso non di sistema in un dramma di sistema. alcuni grandi quotidiani domestici definiscono come “moda” scelte che dovrebbero essere lette, al contrario, come un positivo segno di dinamismo e di apertura al mondo delle nostre imprese

1-Al direttore - Cucù.

Giuseppe De Filippi

2-Al direttore - “Soltanto nell’ultima settimana abbiamo avuto prima la nomina di Marc Benajoun come nuovo amministratore delegato di Edison (di proprietà dei francesi di Edf) e poi di Olivier Jacquier nominato a capo della filiale italiana di Engie (l’ex Gas de France Suez). Ma prima ancora c’erano state le nomine ai vertici di Parmalat, Loro Piana, Safilo, Lamborghini… Ma la ‘moda’ del manager straniero è pervasiva e colpisce anche le aziende che – ancora – non sono state vendute all’estero e mantengono capitale italiano. Per esempio, ha scelto fuori dall’Italia per ben due volte Leonardo Del Vecchio, sia per Luxottica che per Beni Stabili. O la famiglia Agnelli per la società dei trattori Cnh (tenendo conto che ‘tecnicamente’ Sergio Marchionne sarebbe italo-svizzero-canadese), o i Garavoglia per la Campari”. E’ il passaggio di un articolo apparso ieri su Repubblica.it, che prende spunto dalla nomina di Cramer Ball alla guida di Alitalia per denunciare la “grande invasione dei manager stranieri in Italia”. Merita di essere segnalato perché, a mio avviso, riflette il provincialismo con cui alcuni grandi quotidiani domestici definiscono come “moda” scelte che dovrebbero essere lette, al contrario, come un positivo segno di dinamismo e di apertura al mondo delle nostre imprese. Sono gli stessi sempre pronti, poi, a bacchettare il conservatorismo e la mancanza di visione del capitalismo familiare nazionale.

Michele Magno

3-Al direttore - Sono vicino a Maurizio Crippa, in questo momento difficile per la prematura dipartita del “filosofo di Setúbal’’, José Mourinho, dalla sua ricca panchina britannica.

Gino Roca

4-Al direttore - Non è vero che le banche, come sostiene sul Foglio del 18 dicembre il sottosegretario Angelo Rughetti, dal 1° gennaio potranno fallire come qualsiasi società privata. La procedura di risoluzione e, in specie, quella del “bail-in”, ancorché suscettibili di effetti dirompenti, sono ben diverse da quella fallimentare, anche se il previsto concorso alle perdite  a carico di azionisti e creditori avrebbe avuto bisogno di una ben diversa capacità negoziale da parte delle delegazioni dei governi passati che hanno negoziato a Bruxelles la direttiva Brrd la quale ha introdotto la forte innovazione, poi troppo sbrigativamente approvata dal Parlamento di Strasburgo e recepita da quello italiano. Si sono dimenticati la storia, i problemi della tutela del risparmio e della stabilità monetaria, nonché la Costituzione (art. 47). In effetti, il sistema bancario aveva trovato “al suo interno” la risposta al dissesto delle quattro banche attraverso l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi, ma ciò è stato impedito da un’azzeccagarbugliesca configurazione, da parte della Commissione Ue, delle risorse di questo fondo – che sono “private”, delle banche cioè – come aiuti di stato. Non vi è stata (ancora?) la giusta reazione del governo. Delle e per le banche vi è molto da cambiare. E’ giusto chiedere che nei rimborsi dei creditori subordinati raggirati facciano di più, ma non giova una generalizzata critica al sistema, a maggiore ragione in questa fase di evidenti difficoltà. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

La critica al “sistema” è particolarmente sbagliata soprattutto se l’oggetto in questione non è il “sistema delle banche” ma sono solo quattro banche popolari. Le risposte di Renzi (commissione d’inchiesta, metodo Cantone, scomunica a Bankitalia) sono risposte forti che rischiano però di ingigantire un caso non di sistema, che ha riguardato circa 1.010 investitori (non risparmiatori) su un totale di 12.500 possessori di obbligazioni subordinate. Un caso importante, certo, ma il sistema no, dai.

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