MANUALE DI CONVERSAZIONE LA PRIVACY

Come fare bella figura senza necessariamente sapere quel che si dice. È uno dei più scottanti problemi di questi tempi complessi. Ecco una serie di suggerimenti per trattarlo con l’opportuna superficialità

di Andrea Ballarini | 18 Dicembre 2015 ore 06:09

- Un mito/Un falso mito.

- Non c'è mai stata. Affermarlo con sicurezza lascia immaginare grande competenza sui temi della modernità.

- Un grave problema. Affermarlo sempre con aria grave.

- Pronunciarla prìvasì è più figo che pràivasì. Sperare che qualcuno vi corregga per far partire un pippone sulle differenze della pronuncia britannica e americana.

- Un'ossessione di questi ultimi anni. Fino a qualche tempo fa la ignoravamo e vivevamo benissimo lo stesso. Convenirne.

- Tuonare contro quelli che mettono solo il numero sul citofono. Lamentarsi che se non c'è neppure il campanello della portineria tocca suonare a caso importunando tutto il condominio prima di trovare l’inquilino comprensivo che apra.

- Chiedere che senso abbia chiedere se si acconsente che i propri dati siano diffusi urbi et orbi se poi il 90% dei siti è concepito in modo che se non acconsenti, da quella schermata non ti schiodi? Minacciare di intentare una furibonda class action globale contro questo intollerabile sopruso. Convenirne.

- Nel corso di una lite con il/la coniuge, può tornare utile paventare che "quel coglione di tuo figlio" (anche se il figlio è di entrambi, nel frangente è sempre dell’altro/a) metta su internet qualunque cosa, finendo per sbandierare di fronte al mondo certi particolari disgustosetti della vostra vita familiare.

- Saper modificare le impostazioni della privacy su Facebook è la spia generazionale: se non lo sai fare non sei un nativo digitale. Dolersene. Farsene una ragione.

- Trovare l'ossessione per la privacy quasi altrettanto irritante di quella per il politically correct. Stigmatizzare entrambe come aberrazioni di matrice anglosassone.

- Suggerisce stile di vita internazionale e uso di mondo riferire episodi grotteschi accaduti a conoscenti in paesi europei più avanzati, dove se chiedi "signora o signorina?" a una giovane donna ti becchi una denuncia per sexual harassement. Non temere di esagerare col grottesco.

- E i cookies, che se li disabiliti non funziona più una cippa? Scagliarsi contro questa modalità tipicamente italiana di rispettare la lettera della legge rendendola di fatto del tutto inefficiente nella pratica. Arabescare a soggetto. (Vedi seguente)

- Citare con nonchalance la “Cookie Law” fa capire che la sapete lunga.

- È molto avanti trovare il modo di infilare con disinvoltura i big data in qualsivoglia conversazione, quand’anche si stesse parlando dei poeti della Pléiade del sedicesimo secolo. Non serve sapere esattamente cosa siano (né i big data, né i poeti della Pléiade).

- Tuonare contro le modifiche della privacy che ogni tanto iTunes obbliga a sottoscrivere, perché nessuno sano di mente può leggere dieci pagine di codicilli legali e uscirne vivo. Schiumare di rabbia per la presa per il culo.

- Ma che cazzo farà mai il garante della privacy? Sostenere che non lo si possa veramente sapere per ovvie ragioni di privacy.

- Tanto non c'è modo di opporsi: di noi sanno tutto. Meno si specifica l’identità di queste entità onniscenti, maggiore è l'effetto.

- Ci si qualifica come sagaci intellettuali, usi a non arrestarsi alla superficialità mediatica, notando quanto sia paradossale che questa società, chiaramente ammalata di narcisismo ed esibizionismo, nutra allo stesso tempo una dissennata ossessione per la privacy. Sviluppare il concetto con dovizia di riferimenti culturali – anche a casaccio – e trarne deduzioni a piacere.

- I tag di Facebook hanno reso impossibile l'esercizio relativamente sicuro dell'adulterio. Deplorare.

- Nessuno dice mai che l’avvento degli smartphone ha distrutto la privacy dei gatti. (m4gny, Twitter)

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