Il Cav. è statista fatto e finito.

Fassina e Renzi ancora no. Mi spiace che persone intelligenti

come Stefano Fassina e un Matteo Renzi, politico brillante ma con la tendenza ai pantaloni corti (me lo ha ricordato ridendo un amico e collega), abbiano pestato una cacca dicendo che Berlusconi non può avere a che fare con la riscrittura della Costituzione. Spero che il Cav. non faccia forzature e continui a negoziare il possibile, come in fondo ha sempre fatto, tenendo presente la sensualità dell’impossibile, come ha sempre fatto. Con pazienza e talento. Ma se c’è uno che si meriterebbe per chiara fama quella cattedra pomposa che è la presidenza della Costituente, questo è lui stesso. Quanto al laticlavio a vita, sebbene sia un’istituzione impolverata dal tempo, non avrei dubbi: lui e Scalfari, contemporaneamente o in successione, sarebbero di nuovo meritevoli per chiara fama dell’onorificenza e campioni di pacificazione, cosa utile al paese nonostante alcuni dubbi di Travaglio, Spinelli e Flores.

Quando il Cav. ha cominciato a riformare “la Costituzione più bella del mondo”, secondo la definizione vanitosa di un costituzionalista comico, Renzi era un adolescente e Fassina un giovinotto di belle speranze. Il sistema era bloccato e imperniato su consociativismo e bipolarismo imperfetto, la Dc sempre al governo e il Pci o la sinistra che aveva generato dopo la caduta del muro sempre all’opposizione. La faccenda alla lunga, dopo aver dato prove alternate di bene e di male nei decenni precedenti, si era rivelata intenibile: alto debito pubblico, corruzione, patti sociali concertativi che producono stagnazione, crisi dei partiti.

Il Berlusconi delle origini, a partire dal governo glorioso del 1994, fu una bomba costituzionale. Inventò la destra possibile, e la potabilità dell’estrema destra neomissina e anticostituzionale. Fece della Lega di Bossi un partito costituzionale capace di dirigere per anni, in due riprese, il ministero dell’interno. E di farlo con titolare il successore di Bossi, fra i complimenti dell’establishment della pubblica amministrazione e della polizia di stato. Fece scattare le premesse costituenti della legge elettorale maggioritaria, che non avrebbe avuto senso senza la sua operazione politica e la sua entrata in lizza come candidato premier. Diede l’alternanza di forze diverse alla guida dello stato, che la Repubblica non aveva mai conosciuto, un potere ignoto fino ad allora agli elettori. Poi durante il suo governo di legislatura (2001-2006), altro record politico di valore costituzionale, riformò parti importanti della Costituzione: non solo introdusse i principi del giusto processo, ma ridusse il numero dei parlamentari, differenziò Camera e Senato come si voleva fare da trent’anni e più, con la fiducia attribuita a una sola delle Camere,  conferì giusti poteri di direzione del governo a un premier che i costituenti, sbagliando, avevano imprigionato nella sostanziale impotenza che sappiamo e che aveva prodotto un governo l’anno per cinquant’anni. La riforma fu cassata dal voto popolare per l’estrema e inciprignita carogneria politicante dei suoi oppositori, gattini ciechi che volevano vendicarsi per la malasorte della Bicamerale e colpire con lui le idee e azioni giuste da lui promosse. Avesse potuto realizzare più di quanto gli fu consentito da chi oggi si proclama difensore di una riforma costituzionale guidata da altri che non sia lui, avrebbe anche separato le carriere di pm e giudici, come voleva un Giovanni Falcone e come vuole la decenza in un mondo che ci guarda esterrefatto per quello sgorbio, e riequilibrato le posizioni relative di accusa e difesa nel processo. Di recente ha stretto di nuovo la mano, contribuendo in modo decisivo alla sua eccezionale rielezione al Quirinale, a quel Napolitano cui aveva stretto clamorosamente la mano fin nel lontano 1994. E ha contribuito decisivamente a varare il primo governo di Grosse Koalition della storia repubblicana.

Questi sono fatti, che il cazzeggio su Mussolini, le bravate antigiudici, le leggi ad personam contro i processi ad personam, e un paio di dozzine di festicciole burlesque non cancellano affatto. Almeno per chi rispetti il vero e non sia un bigotto devoto del falso. G. Ferrara, 5/5

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