Generale Mori e il giudice Ingroia

Al direttore del Foglio - Ho seguito la polemica con

Travaglio a proposito dell’articolo di Claudio Cerasa, apparso sul Foglio del 4 giugno scorso, che commentava le dichiarazioni fatte dal generale Mario Mori ai giudici che a Palermo sono chiamati a giudicare l’accusa della procura per avere egli, insieme al Mauro Obinu, favorito la latitanza del capomafia Provenzano e non averlo catturato quando era possibile farlo. L’editorialista principe del Fatto considera quell’articolo un prodotto scadente, frutto di un autore scadente. Io invece considero Cerasa un eccellente giornalista e quell’articolo un quadro sintetico ed efficace di ciò che si capisce di quel processo. La polemica sui “dettagli” è gustosa e fondata. Tuttavia, leggendo il testo integrale delle dichiarazioni di Mori, come ho fatto dopo la pubblicazione dell’articolo di Cerasa, vorrei sottolineare una pagina che a me pare essenziale e attiene all’opera di depistaggio, ai fini della cattura di Provenzano, compiuto dai sottufficiali Giuseppe Ciuro e Giorgio Riolo. Il primo distaccato presso l’ufficio del dott. Ingroia e l’altro, con compiti tecnici, alla sezione palermitana dei Ros, arrestati e condannati per concorso esterno. A questo proposito in una “Memoria” della procura della Repubblica di Palermo si legge che il noto mafioso Ajello, Ciuro e Riolo “da molti anni” fornivano “notizie segrete e rivelazioni sulle indagini del Ros finalizzate alla cattura dei latitanti Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro”. La memoria è firmata dai pubblici ministeri Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, Maurizio De Lucia e Antonio Di Matteo. Questo documento della procura è stato depositato il 1° settembre del 2004 – data da sottolineare. Quindi il dott. Di Matteo, ora principale accusatore di Mori e Obinu, sapeva e scriveva che Provenzano non veniva catturato perché uno stretto collaboratore del dott. Ingroia lo informava di tutte le mosse dei Ros e dei magistrati.

C’è di più. Il documento che Mori ha letto ai giudici riporta una lettera di Matteo Messina Denaro indirizzata a Provenzano, scritta nel febbraio 2005, ritrovata in uno dei rifugi del capomafia, in cui fa riferimento agli esiti devastanti per la mafia di una operazione, denominata “Grande Mandamento”, con arresti operati dai Ros e dalla polizia e mandati di cattura firmati da magistrati tra cui Antonio Di Matteo. Nel testo dei documenti prodotti dai magistrati si esaltano le indagini svolte dalla squadra mobile di Palermo, dai Ros di Caltanissetta e Palermo e dal nucleo centrale dei Ros per le azioni “condotte da oltre tre anni con grandissima professionalità e notevole impegno di mezzi e risorse”. Siamo nel 2005 e Provenzano viene catturato l’11 aprile del 2006 dopo lo smantellamento della rete di protezione operata, come scriveva Di Matteo, nel 2005 dai Ros. Cosa è successo affinché Ingroia e Di Matteo accordassero credito alle accuse dell’ex colonnello Riccio, condannato per furto di droga, al quale in passato non avevano dato credito archiviando quelle accuse il 1° giugno del 2006? A me la vicenda (non è un dettaglio) sembra sconcertante. Tuttavia, aspettiamo cosa diranno i giudici. Cari saluti.

Emanuele Macaluso

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