Documenti pieni, fabbriche vuote

Confindustria e sindacati scrivono bene. Ma che fare per la Fiat?

Diritti perfetti e fabbriche vuote. Questo scenario impietoso l’ha tratteggiato più volte un manager outsider, perciò odiatissimo alla stregua del fu ministro-riformatore Elsa Fornero, l’ad di Fiat Sergio Marchionne. Adesso che a quello scenario ci avviciniamo a passi piccoli ma decisi (visto che l’Italia rimane ingessata perfino nella fase di caduta), l’atteggiamento delle parti sociali è rivelatorio di quanto potrà accadere, a meno di un’improvvisa resipiscenza. Così ieri la Cgil si felicitava per il fatto che Fiat ha accettato la nomina dei rappresentanti sindacali aziendali della Fiom-Cgil a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del 23 luglio scorso. Salvo far finta che non ci fosse scritto anche questo nel comunicato del Lingotto:  “Un intervento legislativo (sulla rappresentanza, ndr) è ineludibile: la certezza del diritto in una materia così delicata come quella della rappresentanza sindacale e dell’esigibilità dei contratti è una condicio sine qua non per la continuità stessa dell’impegno industriale di Fiat in Italia”.

Come dire: oggi rispettiamo i diritti del regime politico-giudiziario italiano, ma finché questi non cambiano per il meglio (per esempio verso un modello americano), non investiamo un euro. Le parti sociali – Confindustria, Cgil, Cisl e Uil – fanno spallucce: ieri hanno presentato un documento comune sulla legge di stabilità che il governo dovrà approvare. Chiedono sgravi fiscali di ogni tipo e quantità (giusto), salvo non citare nemmeno un numero quando si tratta di indicare i tagli della spesa pubblica. Resuscitano le “politiche industriali”, celebrano incentivi e Cassa depositi e prestiti (cioè soldi pubblici), ma ancora una volta non dicono cosa sono pronti a fare loro stessi per tutti i Marchionne d’Italia.

© - FOG

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