La zarina dei rubli, La donna che guida

la Banca centrale russa è più popolare di Medvedev,

ma a Mosca invidiano la Fed

“Mi è parso che in realtà il calcolo significhi molto poco e comunque non abbia affatto tutta l’importanza che gli attribuiscono molti giocatori. Certi se ne stanno lì seduti davanti a dei pezzi di carta rigata, segnano tutti i colpi, li contano, ne deducono le probabilità, fanno i loro calcoli e alla fine puntano e perdono proprio come noi, semplici mortali che giochiamo senza calcolare niente”. Fëdor Dostoevskij, “Il giocatore”

Quando Barack Obama ha nominato Janet Yellen alla guida della Banca Centrale, il Wall Street Journal ha salutato la scelta con un editoriale colmo di auguri e di dubbi. Yellen sarà la prima donna ai vertici della Fed, se la commissione bancaria del Senato, che la riceverà in audizione il prossimo 14 novembre, confermerà la sua nomina. Di lei il Journal ha scritto che in passato s’è distinta in campo accademico ma si tratta pur sempre di una keynesiana arretrata. Secondo il suo approccio il vero compito di una Banca centrale è promuovere la piena occupazione, anziché mantenere la stabilità dei prezzi. Ed è possibile che alcuni, in Russia, leggendo quell’articolo, abbiano provato un po’ di invidia per i colleghi americani: una governatrice che pensa ai desideri del governo prima di ogni altra cosa, che considera completamente legittimo fornire aiuti al mercato e lasciare che l’inflazione, di tanto in tanto, sfondi i limiti prestabiliti. Anche a Mosca c’è una donna al comando della Banca centrale, il suo nome è Elvira Nabiullina e in pochi mesi è riuscita a smentire ogni previsione che analisti e commentatori hanno avanzato sul suo conto. Perché Nabiullina è stata a lungo un’aiutante di Vladimir Putin, faceva parte del gruppo di sei esperti incaricato di gestire i dossier economici per conto del Cremlino, e la scorsa primavera si pensava che il passaggio di scrivania segnasse il vincolo definitivo fra Bank Rossii e il governo, che la massima autorità bancaria del paese avrebbe assecondato le richieste di stimoli in arrivo da ministeri e industrie di stato. Ma in questi primi mesi da governatrice Nabiullina è riuscita a tenersi molto distante dalla politica, mostrando un’autonomia piuttosto rara nelle istituzioni russe: l’ultima prova è arrivata in settimana, quando ha negato il ritocco ai tassi di interesse che molti avevano già messo in conto (è il tredicesimo mese consecutivo che l’istituto resiste su questa linea). “Le cose cambieranno solo quando l’inflazione comincerà a scendere”, ha commentato dopo l’annuncio. E non si tratta di un traguardo semplice per la Russia di Putin.

Cinquant’anni, schiva con i giornalisti, aspetto austero oltre i limiti dell’etichetta, Nabiullina è arrivata alla Banca centrale dopo un lungo apprendistato nei centri della finanza nazionale, prima al ministero dell’Economia e poi a Sberbank, un istituto di credito che è ancora oggi sotto il controllo dello stato. Di solito in Russia cariche come questa non dipendono troppo dalla formazione, dalla dottrina o da quel che serve al paese per raggiungere un determinato obiettivo, ma dal grado di lealtà, dall’equilibrio fra i gruppi di potere che si muovono intorno al Cremlino: i siloviki, ovvero gli uomini dell’esercito e degli apparati di sicurezza, i liberali di San Pietroburgo, che hanno la loro guida nel premier, Dmitri Medvedev, e il grosso clan di petrolieri, industriali e uomini d’affari. E in questa partita nessuno ha la certezza di conoscere sino in fondo le carte che tiene in mano, così si punta e si vince e si perde senza troppo riguardo per le posizioni iniziali. Bisogna dire che Bank Rossii ha mantenuto una certa indipendenza rispetto ai flussi della politica russa, basti pensare che l’ex governatore Sergei Ignatyev è rimasto alla guida dell’istituto per undici anni, dall’esordio di Putin sino al suo terzo mandato. Nabiullina non era la favorita nella corsa alla successione, prima si pensava che Putin avrebbe scelto la soluzione interna e per mesi pareva che il candidato più adatto a raccogliere l’eredità di Ignatyev fosse proprio il suo vice, Aleksei Ulyukayev. Nabiullina è stata una sorpresa ed è possibile che la decisione di Putin fosse soprattutto un messaggio al governo nel momento peggiore per l’economia nazionale: non ci saranno scorciatoie, non ci saranno colpi bassi e vincite milionarie, il paese ha bisogno di riforme ma nessuno può portarle a termine senza tenere conto dell’inflazione, dei conti in banca, del prezzo della carne nei supermercati.

Quel messaggio è ancora attuale. Il premier Medvedev ha dovuto rivedere le stime di crescita della Russia, che nel 2013 sono decisamente inferiori rispetto alla soglia del 5-6 per cento indicato da Putin come obiettivo, un livello di sviluppo che permetterebbe al paese di colmare gradualmente la distanza con l’Europa e con Stati Uniti. “Siamo fermi a un bivio – ha scritto Medvedev in un articolo pubblicato recentemente sul quotidiano Vedomosti – la Russia può continuare la sua avanzata al rallentatore, con un tasso di sviluppo vicino allo zero, oppure può intraprendere una svolta. L’ultima strada è piena di rischi, ma la prima conduce al precipizio”. La soluzione prospettata da Medvedev è semplice, per alcuni sin troppo semplice: stop alle tariffe delle compagnie di stato, aiuti veloci alle imprese private sotto forma di sgravi fiscali, contratti e prestiti. Insomma, la Banca centrale dovrebbe fornire al più presto stimoli al mercato in attesa che il mercato sia abbastanza forte da potersela cavare da solo. L’altro punto sull’agenda del premier è trasformare Mosca in un centro della finanza capace, magari, di attrarre capitali che oggi scivolano verso altri paesi dell’Asia (Kazakistan, Mongolia, Azerbaigian e Georgia, tanto per citarne alcuni). Ma nel suo articolo Medvedev non parla mai di corruzione, di burocrazia, di fuga di capitali, una piaga che costa alla Russia circa settanta miliardi di dollari all’anno: “Ogni mese il centro di statistica conduce un sondaggio su 25 mila imprenditori russi, chiede loro quali siano i problemi più grandi e le risposte sono sempre le stesse – dice Igor Nikolaev, capo analista dell’audit Fbk – tasse, pressione della burocrazia, corruzione. Per quanto tempo ancora il governo chiuderà gli occhi fingendo di essere già al lavoro per risolvere il problema?”. Secondo molti osservatori la Russia è già in recessione, altri pensano che il paese sia entrato in un periodo di stagnazione (sia economica, sia politica) simile a quello che ha caratterizzato l’epoca di Breznev. E in questa fase sono gli uomini di Medvedev quelli che rischiano di più: Putin ha criticato più volte l’azione del governo, la scorsa primavera su internet si è visto persino un video in cui il presidente minaccia di “mandare a casa” i ministri, e adesso anche i commentatori liberali, quelli che vedevano nel premier un’alternativa credibile per il futuro, cominciano ad avere dubbi sull’azione della sua squadra. Per dirla con Alexandr Polivanov del sito internet Lenta.ru, “Medvedev è pronto a cambiare alcune parti del motore, ma non intende in alcun modo disfarsi della macchina”. E in una situazione come questa è quasi normale che Medvedev sia scavalcato da un tipo come Nabiullina, anche in popolarità. A giudicare dalle sue ultime dichiarazioni (quelle che l’hanno trasformata in un “falco dell’economia”, come l’ha chiamata il Wall Street Journal) si direbbe che la governatrice sia interessata soltanto a domare l’inflazione. Il mese scorso, in un vertice con i ministri, ha detto che “bisogna rafforzare la politica monetaria”, anche se questa mossa non è perfettamente in linea con le richieste che arrivano dal governo. Concedere stimoli ora, ha aggiunto, potrebbe avere “effetti tossici” sul lungo periodo. Così si pensa che i tassi di interesse non scenderanno prima del 2014, una scelta che non è comunque priva di rischi: la tendenza complessiva delle istituzioni russe è quella di mantenere sempre lo stato al centro dell’economia, anche quando i singoli provvedimenti sembrano ispirati a principi liberisti. In questo senso, negare aiuti e stimoli alle imprese private significa soprattutto concedere un vantaggio competitivo ai colossi dell’industria pubblica (e per questo il commento del Wall Street Journal su Nabiullina andrebbe letto in chiave russa).

Ma se si vuole capire davvero l’impegno di Putin e Nabiullina verso l’inflazione (che oggi è sopra il 6 per cento, ma l’obiettivo è portarla al 4,5) occorre scavare un po’ più a fondo nella storia del paese, sino a un tempo non troppo lontano in cui il Cremlino era sotto la guida di Boris Eltsin. Le rivoluzioni afferrano la Russia quando nessuno se l’aspetta, e questa strana legge del caso ha a che fare con l’ascesa dei bolscevichi (“I dieci giorni che sconvolsero il mondo” raccontati da John Reed scendono addirittura a tre nei resoconti del filosofo Vasilij Rozanov), con il crollo improvviso dell’Unione sovietica e la grande crisi bancaria che ha piegato il paese verso la fine degli anni Novanta, nel momento in cui si credeva che la Russia fosse la nuova frontiera dell’economia mondiale. Naturalmente i segni del collasso erano ovunque, sarebbe bastato tenere conto dello stato miserevole in cui si trovava il sistema fiscale per valutare il rischio, ma la versione più diffusa in quei mesi di euforia da listino diceva che il paese s’era già lasciato alle spalle la transizione dal socialismo al mercato, e l’aveva fatto con risultati entusiasmanti. Nel mese di ottobre del 1997 l’indice Rts della Borsa di Mosca aveva raggiunto il record storico a 571 punti, le quotazioni dei titoli russi triplicavano ogni dodici mesi e i broker di New York, Londra e Francoforte s’affrontavano ogni giorno per trasferire dollari, sterline e marchi oltre il confine. Quel che gli analisti non vedevano, o fingevano di non vedere, era la febbre dell’economia reale. Nel 1998 il prodotto interno lordo era quasi la metà rispetto a quello del ‘91, l’industria era vicina al collasso e l’inflazione avanzava al ritmo del 25 per cento (alla fine del 1999 serviva un milione e mezzo di rubli per comprare quel che si poteva avere con cento rubli nel 1990). Proprio la corsa dei prezzi aveva svuotato le riserve della Banca centrale, mentre il Tesoro emetteva titoli con il solo scopo di pagare gli interessi a quelli già scaduti: era un enorme schema Ponzi con il timbro dello stato, e il 17 agosto del ‘98 il governo fu costretto ad annunciare l’insolvenza. Da un giorno all’altro la Russia non era più in grado di mantenere gli impegni con gli investitori, le banche che avevano asset in grado di resistere allo choc erano una percentuale minima rispetto al totale, e questo portò al collasso di un intero sistema, con 1.500 istituti di credito costretti a chiudere dalla mattina alla sera. Le conseguenze più gravi, naturalmente, sono toccate ai risparmiatori russi, che hanno visto scomparire nel nulla i loro conti. Allora la governatrice Nabiullina aveva 35 anni, e già lavorava nel governo.

Oggi per Bank Rossii una delle sfide principali è confermare la stabilità della moneta e del credito in casa, prima ancora che all’estero. La crisi scoppiata a Cipro all’inizio del 2013 ha mostrato che migliaia di russi della classe media preferiscono ancora portare i loro soldi all’estero anziché lasciarli nelle banche russe, e questa è una diretta conseguenza del dramma finanziario vissuto nel ’98. E poi c’è il problema dei capitali trasferiti illegalmente all’estero, che in parte è legato alla questione precedente, ma dipende in misura maggiore dall’attività delle organizzazioni criminali. “Si potrebbe dire che un gruppo ristretto di persone muove ogni giorno fiumi di denaro oltre i confini della Russia”, ha detto l’ex governatore Ignatyev in una intervista a Vedomosti poche settimane prima di lasciare il suo incarico. Nel 2012 questo traffico avrebbe sottratto al paese circa 15 miliardi di dollari, soldi che rientrano in “schemi di dubbia legalità” descritti da Ignatyev come “pagamenti per partite di droga, tangenti, fondi occulti nelle mani di amministratori pubblici, capitali sfuggiti alle tasse”. L’ex governatore non ha identificato il gruppo di individui che avrebbe il controllo del denaro, ma ha invitato il governo a muovere ogni leva per fermare il fenomeno (“sono sicuro che un serio lavoro degli inquirenti permetterebbe di farlo”). In passato questa lotta ha avuto un prezzo pesante per la Banca centrale. Nel settembre del 2006 Andrei Kozlov è morto nell’ospedale 33 di Mosca con un proiettile nel petto. Kozlov era il numero due di Bank Rossii, aveva quarant’anni ed era impegnato proprio nel contrasto della finanza nera: pochi giorni prima di essere ucciso, in un convegno a Sochi, aveva lanciato un attacco frontale contro il suo stesso settore, dicendo che “chi ha ricevuto condanne per aver lavato denaro sporco dovrebbe essere escluso dal sistema bancario per il resto della vita”. Nella sua ultima inchiesta era riuscito a revocare la licenza di Diskont Bank, un istituto finito nel mirino della polizia finanziaria proprio per i rapporti con la criminalità. E le indagini sull’uccisione di questo funzionario hanno svelato una rete vasta di uomini d’affari, finanzieri, banchieri e malavitosi che poteva contare su legami forti in Russia come all’estero, ed era capace di spostare ogni giorno milioni di dollari fuori dal controllo delle autorità. Due anni più tardi i giudici del tribunale di Mosca hanno condannato sette persone per l’omicidio, tre organizzatori e quattro esecutori materiali, due anni più tardi un nuovo caso è stato aperto contro un giudice della corte che ha cercato di corrompere i colleghi per ottenere la libertà di un imputato. Oltre ai giornalisti e agli avvocati dei diritti umani, in molti casi critici nei confronti del governo, che hanno perso la vita in circostanze ancora da chiarire, la Russia ha anche un buon numero di funzionari, poliziotti, soldati e sindaci di piccole città uccisi mentre combattevano per conto dello stato, e questo è un particolare che emerge raramente nei resoconti della stampa straniera. “A Bank Rossii c’è ancora un trauma per la morte di Kozlov – ha detto Nabiullina nella sua intervista inaugurale con i giornalisti di Kommersant – Bank Rossii sta lavorando in maniera molto cauta, forse più di quanto dovrebbe, ma io sono pronta a fare tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Scrivere lettere alla polizia per denunciare le situazioni irregolari è assolutamente inutile, a noi serve uno sforzo strutturale, un piano di sistema, dobbiamo avere leggi che ci permettano, per esempio, di alzare le spese di transazione per i trasferimenti all’estero”. E in questo campo Nabiullina può davvero diventare un falco.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Luigi De Biase, 30 ottobre 2013 - ore 10:30

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