3 dicembre, decade il parlamento ?

Le ultime elezioni dipendono dalla Suprema Corte

Che succede se il premio di maggioranza diventa incostituzionale? Decade il Parlamento, o si ridisegna tutto

Il prossimo 3 dicembre, com’è arcinoto, è fissata l’udienza della Corte costituzionale per valutare la legittimità costituzionale della legge elettorale delle Camere, sollevata con ordinanza 12060/13 dalla I sezione civile della Corte di Cassazione. Insomma: la Consulta si esprime sul cosiddetto “Porcellum”. Non è il caso di trattare la questione per slogan. La questione è seria.

Prima di entrare in quelle che orrendamente si chiamano tecnicalità (di cui ha trattato di recente il costituzionalista Giovanni Guzzetta), mi permetto una premessa “pop”. Se la Consulta dovesse bocciare il “Porcellum” in riferimento alla mancanza della soglia minima per il premio di maggioranza, automaticamente deputati e senatori eletti grazie a un regalo incostituzionale, se non ancora convalidati dalle rispettive Camere, decadrebbero, e dovrebbero essere rimpiazzati da quanti sono stati incostituzionalmente esclusi. I calcoli consentono di ritenere – lasciando perdere il Senato che mi risulta aver già provveduto alla convalida dei suoi membri – che i deputati di sinistra “abusivi” sarebbero 148 (da 340 scivolerebbero a 192). Il centrodestra avrebbe in tutto solo due onorevoli in meno del centrosinistra, situandosi a 190 e guadagnandone dunque 66 rispetto agli attuali 124. Non è un discorso ipotetico del terzo tipo. Ha ragioni giuridicamente fondate. Come si vedrà.

I problemi relativi al giudizio della Consulta possono essere raggruppati in base alle quattro fasi in cui si articola il giudizio stesso: a) i presupposti di ammissibilità; b) il merito della questione; c) le possibili decisioni di accoglimento; d) gli effetti della pronuncia. La particolarità di questo giudizio sta nel fatto che esso proviene da un processo civile promosso con il dichiarato obiettivo di ottenere l’annullamento della legge da parte della Corte costituzionale mediante il promuovimento della questione di legittimità da parte del giudice civile. Si tratta dunque di una causa intentata espressamente con l’obiettivo di ottenere una dichiarazione di costituzionalità. Secondo la tradizionale giurisprudenza della Corte costituzionale questo genere di liti (lites fictae: in quanto il giudizio civile è solo un pretesto per attivare il giudizio costituzionale) non sarebbero ammissibili perché nel nostro ordinamento quello di costituzionalità è un giudizio di tipo incidentale e non un giudizio diretto. Si può arrivare alla Corte solo se il problema sorge nell’ambito di un processo che ha un altro oggetto. Non si può, come in Germania per esempio, rivolgersi direttamente alla Corte costituzionale per denunciare una violazione dei propri diritti fondamentali riconosciuti direttamente dalla Costituzione. Potrebbe apparire una questione formalistica, ma la giurisprudenza costituzionale ha vari precedenti in questo senso. E’ anche vero però che la Corte ha riconosciuto che questo criterio di inammissibilità non dovrebbe essere applicato troppo rigorosamente, soprattutto nel caso in cui ci si trovi in una di quelle “zone d’ombra” dell’ordinamento, nelle quali cioè è difficile che si verifichino i presupposti per impugnare una legge davanti alla Corte costituzionale (il caso della legge elettorale potrebbe essere uno di questi). La questione è pertanto aperta.

La questione di costituzionalità ha a oggetto due aspetti della legge elettorale. Il primo è quello del premio di maggioranza che presterebbe a esiti distorsivi sproporzionati e irragionevoli, in considerazione del fatto che non è stata identificata una soglia minima al raggiungimento della quale esso scatti. Il secondo profilo è quello delle liste bloccate, senza previsione della possibilità dell’elettore di esprimere una o più preferenze. I parametri costituzionali richiamati sono vari, i più rilevanti dei quali sono l’art. 3 (principio di eguaglianza) e l’art. 48 (voto personale, eguale, libero e segreto), nonché il principio democratico-rappresentativo.

Preliminarmente va ricordato che la contestazione della legge elettorale è stata già compiuta in sede europea presso la Corte europea dei diritti dell’uomo la quale si è pronunciata con decisione Saccomanno c. Italia del 13 marzo 2012. A Strasburgo è stato contestato che il Porcellum violerebbe l’art. 3 del Protocollo addizionale della Cedu che tutela il diritto dei cittadini a libere elezioni, “in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo”. In particolare anche in sede europea si contestava alla nostra legge elettorale esattamente la proporzionalità, ragionevolezza e il rispetto della eguale libertà degli elettori. Ebbene, la Corte di Strasburgo ha ritenuto manifestamente infondati i motivi di ricorso. Quanto al premio di maggioranza essa è partita dal presupposto che “non bisogna perdere di vista che i sistemi elettorali cercano di rispondere a obiettivi a volte poco compatibili tra loro: da una parte riflettere in maniera approssimativamente fedele le opinioni del popolo, dall’altra canalizzare le correnti di pensiero per favorire la formazione di una volontà politica, di una coerenza e di una chiarezza sufficienti”. Con riferimento alla mancanza di una soglia minima per il premio di maggioranza, la Corte afferma che si tratta di una scelta rientrante nella discrezionalità dei legislatori nazionali, purché essa non sia arbitraria, non manchi di proporzionalità e rispetti la libera espressione dell’opinione del popolo. Dopo tale premessa la Corte ha concluso che “la disciplina dei premi di maggioranza fissata dalla legge italiana non possa essere riconosciuta contraria alle esigenze dell’articolo 3 del Protocollo n. 1, in quanto tale disposizione opera al fine di favorire le correnti di pensiero sufficientemente rappresentative e la costituzione di maggioranze sufficientemente stabili nelle assemblee. Di conseguenza (…) la Corte non rileva alcuna violazione della ‘libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo’”.

Sotto il profilo del rispetto del principio dell’eguaglianza del voto, la Corte europea esclude che la legittimità della natura distorsiva dei sistemi elettorali (sempre nei limiti della proporzionalità e non irragionevolezza delle soluzioni) possa inficiare il diritto soggettivo dell’elettore, atteso che “l’articolo 3 non implica che tutte le schede devono avere un peso uguale per quanto riguarda il risultato, né che tutti i candidati debbano avere uguali possibilità di vincere; è quindi evidente che nessun sistema può evitare il fenomeno dei “voti perduti”. Quanto alle liste bloccate, la Corte ha ugualmente rigettato il ricorso.

Una volta constatato che la Corte europea non considera né discriminatorio, né irragionevole, né sproporzionato il meccanismo del premio di maggioranza e che la scelta delle liste bloccate, quand’anche politicamente criticabile, non lede alcun parametro di democraticità, sarà interessante vedere come reagirà la nostra Corte costituzionale. Sembra infatti bislacco immaginare che quest’ultima applichi un criterio di ragionevolezza o di proporzionalità diverso da quello usato dalla Corte di Strasburgo.

Le possibili decisioni di accoglimento

Quand’anche decidesse di dichiarare l’incostituzionalità della legge elettorale la Corte costituzionale si troverebbe comunque di fronte a diverse possibili alternative. Limitandoci al premio di maggioranza, alternative sono ben cinque:

a) la prima potrebbe essere un annullamento puro e semplice della disciplina del premio, lasciando che ne residui un sistema elettorale di stampo puramente proporzionale, completamente diverso da quello voluto dal legislatore;

b) la seconda soluzione, viceversa, potrebbe consistere nell’annullamento dell’intera legge, assumendo che il premio costituisca elemento qualificante dell’intera disciplina, cosicché, a seguito della declaratoria d’incostituzionalità, si debba considerare compromesso l’intero equilibrio su cui era costruita la legge. La conseguenza sarebbe dunque la creazione di un vuoto normativo, con l’ulteriore problema di valutare o meno l’applicabilità a tale caso della giurisprudenza in materia di referendum sulle leggi costituzionalmente necessarie;

c) la terza soluzione potrebbe essere quella di assumere una sentenza declaratoria di illegittimità accertata, ma non dichiarata o di una declaratoria di illegittimità limitata al principio, ma priva di ricaduta operativa;

d) la quarta soluzione potrebbe essere quella per cui sia la Corte stessa a stabilire la soglia minima ragionevole a partire dalla quale far scattare il premio;

e) la quinta soluzione potrebbe essere di annullare l’intera legge elettorale, ma assumendo come conseguenza la reviviscenza del precedente, cioè “Mattarellum”.

Ognuna di queste soluzioni presenta problemi ed è difficile dire come la Corte si orienterebbe qualora volesse accogliere nel merito la questione.

Gli effetti della pronuncia

I possibili effetti della pronunzia dipendono ovviamente dal suo contenuto. E mentre è chiaro che l’inammissibilità o il rigetto nel merito, non determinano particolari conseguenze, numerosi problemi si pongono nel caso dell’accoglimento.

Gli effetti riguardano due aspetti:

1. L’impatto sulla legislatura in corso;

2. Il problema di una nuova legge elettorale.

Quanto all’impatto sulla legislatura in corso, non vi sono dubbi che vi sarebbero degli effetti giuridico-costituzionali. Va infatti considerato che le sentenze di annullamento della Corte costituzionale non valgono solo per il futuro, ma hanno effetto retroattivo, a meno che le situazioni del passato non siano ormai giuridicamente definite e concluse. A tal proposito è fondamentale rilevare che le elezioni del febbraio 2013, che hanno dato vita all’attuale Parlamento, non sono state ancora convalidate. Quindi non si può parlare di rapporti e procedimenti “chiusi”. Conseguentemente le giunte chiamate alla convalida delle elezioni non potranno non tenere conto della dichiarazione di incostituzionalità. E dunque:

a) nel caso in cui la Corte costituzionale proceda a un annullamento totale della legge (o anche alla reviviscenza della legge Mattarella) non si potrebbe convalidare nessuna elezione e l’esito sarebbe il necessario scioglimento nel giro di qualche settimana, magari con una legge elettorale tampone approvata con decreto-legge del tutto eccezionalmente e limitata a colmare i vizi di incostituzionalità del Porcellum;

b) nel caso di annullamento del solo premio di maggioranza bisognerebbe, invece, ricalcolare proporzionalmente i seggi e assegnarli ai partiti a cui sono stati sottratti per attribuirli alla coalizione che ha vinto il premio ormai illegittimo. La nuova ripartizione dei seggi produrrebbe evidentemente un terremoto nei rapporti di forza parlamentari;

c) nel caso in cui la Corte accertasse l’incostituzionalità, ma non la dichiarasse ovvero decidesse di circoscrivere gli effetti temporali della propria pronunzia alle prossime elezioni, salvando la legislatura attuale, non vi sarebbero effetti giuridici, ma è evidente che una tale soluzione (già molto impegnativa per la Corte) produrrebbe comunque una gravissima delegittimazione politica non solo del Parlamento nel suo complesso, ma anche dei rapporti numerici all’interno della maggioranza di governo e tra questa rispetto all’opposizione.

Quanto poi al problema della nuova legge elettorale, essa dovrebbe venire adottata dal Parlamento nella “nuova” composizione a seguito della ridefinizione dell’assegnazione dei seggi o dal governo con un decreto legge di emergenza limitato a tamponare la situazione in vista dell’elezione di un nuovo Parlamento legittimo cui spetterebbe di riesaminare la questione.

di Renato Brunetta, IL Foglio, 29 novembre 2013 - ore 08:45

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