Scontro De Benedetti – Ferrara su Olivetti e Poste

L’Ingegnere Carlo De Benedetti replica al Giornale: "Mai chiesto alle Poste di assumere i miei

ex dipendenti" Caro Giuliano Ferrara,constato che in questo periodo una delle sue principali occupazioni è quella di seguire tutto quanto riguarda Repubblica ed il suo editore.

Nell’articolo che lei ha pubblicato su Il Giornale del 25 marzo, commette due falsi, rispetto ai quali le chiedo una smentita:

1) quando Olivetti dovette ridurre fortemente il numero dei suoi dipendenti per cambiamenti epocali rispetto alla propria antica tecnologia meccanica, a causa dei quali scomparvero mestieri e prodotti (lei si ricorda ancora la calcolatrice meccanica?), si avviò presso il ministero del Lavoro una dura trattativa che riguardava settemila persone, nel contesto della quale peraltro Olivetti non chiese mai che Poste assumesse dipendenti Olivetti, né vi fu alcun accordo in tal senso, tanto che di fatto nessun dipendente Olivetti fu trasferito a Poste;

2) l’Olivetti non è mai fallita come erroneamente si afferma. Ha pagato sempre tutti, dipendenti, fornitori, banche, imposte e contributi e per la straordinaria «invenzione» che ebbi nel trovarle una nuova visione nelle telecomunicazioni, dette origine alla più grande creazione di valore in cinque anni mai avvenuta in Italia e si trovò ad essere l’azienda più liquida nel nostro Paese tanto che si comprò, dopo la mia uscita e contro il mio parere, Telecom Italia. Per favore, ne prenda nota e ne dia conto ai suoi lettori.

Con i migliori saluti

La risposta dell’editorialista: "Il gruppo di Ivrea non esiste più da tempo e 552 lavoratori furono assunti dal settore pubblico"

Caro dottor De Benedetti,

in effetti quel che lei fa come editore e come politico mi interessa sempre molto per orientarmi e informare i miei lettori.

Risulta da notizie del Corriere della sera, datate 11 maggio 1993 e mai smentite (e da altre fonti controllabili), che 552 ex dipendenti della Olivetti di Crema furono assunti nel settore pubblico, dalle Poste al ministero dei Beni culturali all’amministrazione del Tesoro.

La pratica industriale ordinaria in molti e molti casi, come lei sa benissimo, è sempre stata quella di risolvere con prepensionamenti contrattati e concertati, e altri sistemi, compreso il trasferimento ope legis di dipendenti dal privato al pubblico nei casi più gravi, i cosiddetti esuberi.

Olivetti non fece in questo senso eccezione. La mia polemica è con il facilismo che la spinge, in questo sistema di relazioni private e pubbliche con lo stato, per non parlare di telescriventi, a emettere sentenze di «inutilità» a carico di una riforma del mercato del lavoro (compreso l’articolo 18 dello Statuto) che cerca di attribuire all’impresa una misura di responsabilità e di libertà finalizzata allo sviluppo produttivo e all’allargamento dell’occupazione, con le giuste tutele contro gli abusi. Mi spiace che lei ritenga falsa e offensiva questa polemica.

Quanto all’Olivetti, fallimento nella lingua di un giornalista non è necessariamente un concetto commerciale o ragionieristico. Lei ha pagato i fornitori eccetera, d’accordo, ma l’Olivetti non esiste più da tempo e la creazione di valore poi investita nell’acquisto di Telecom passò, come tutti sanno, per la concessione alla Omnitel Pronto Italia di una concessione come secondo operatore della telefonia, fatta con amabilità dal governo Ciampi un minuto prima delle elezioni del 1994.

«Strana e inaccettabile», definì allora Fausto Bertinotti quella decisione di un governo in carica per gli affari correnti. Bertinotti dovrebbe essere d’accordo con lei nel giudizio sulla riforma del lavoro della Fornero. Sospetta creazione di valore, pensammo tutti. È poi ben vero che l’ingegner Scaglia lavorò benissimo in Omnitel sul rischio e sulla sfida tecnologica.

Vero che l’ingegner Colaninno fondò la sua fortuna di industriale e di finanziere su quell’acquisto da lei sconsigliato. La Telecom, poi, fu comprata e rivenduta e ricomprata con il contributo decisivo di investitori anche esteri, fu considerata un’avventura da «capitani coraggiosi», e parce sepulto. Non vorrei andare avanti, sennò riapriamo anche il caso della Sme, e finisce che mi chiede un risarcimento. In questo siete temibili, voi Debenedetti. Con viva simpatia  da il Giornale del 27.3.2012

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