Come fermare la giostra. La linea Confalonieri per la successione del Cavaliere

Renzi, Salvini, l’eredità, le due linee. “Silvio è Gulliver, sì, ma quelli non hanno nemmeno la corda per legarlo”. Il gigante e i lillipuziani. “Berlusconi e un’anomalia, una straordinaria anomalia, e la successione, se mai ci sarà, non potrà che essere anomala come tutto il resto”

di Salvatore Merlo | 14 Giugno 2016 ore 11:09 Foglio

Roma. Forza Italia è un ipogeo brulicante, fermentano manovre, germogliano ambizioni, sogni e incubi d’una corte di lillipuziani che s’agita intorno al Gulliver ricoverato, a Silvio Berlusconi, il gigante infermo che oggi sarà operato al cuore, all’ospedale San Raffaele di Milano. “Lui è Gulliver, certo. Ma quelli non hanno nemmeno la corda per legarlo”, dice allora Fedele Confalonieri, con l’ironico distacco di chi da vent’anni osserva, da una distanza spesso canzonatoria e talvolta preoccupata, le alterne miserie cortigiane del Castello di Arcore: le ruffianerie, i coltelli veri e metaforici che balenano nel buio, le lotte e le smanie all’ombra del trono, le carinerie interessate e le fatue trame di un ceto politico che già adesso combatte per agguantare un pennacchio colorato, una medaglietta, una poltroncina, un simulacro del potere: interregno, direttorio, leadership… “E’ già capitato che si accoltellassero per la leadearship del niente”, dice Confalonieri nel giorno in cui la famiglia, cioè Marina, Gianni Letta e ovviamente lui stesso, ha fermato la giostra, la caccia maldestra all’impossibile eredità politica del Cavaliere: le riunioni a Milano, le telefonate affannose tra sergenti e caporali, le troppe e malaccorte interviste su una successione che “se mai ci sarà passerà soltanto dalle decisioni di Berlusconi”.

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E allora a Roma i caporali di Forza Italia raccontano di riunioni segrete, di cui ovviamente tutti sanno tutto, e mormorando additano ai cronisti “l’asse del nord”, che suona un po’ come “l’asse del male”, che sarebbero poi i capi lombardi di Forza Italia, quelli che frequentano Matteo Salvini, dunque Mariastella Gelmini – lei che ieri in un’intervista a Libero ha quasi fatto un endorsement elettorale al Movimento cinque Stelle – e anche il governatore della Liguria, Giovanni Toti, che da qualche mese chiede regole, primarie, ricambio: “Ma è forse sedizione questa?”. E infatti loro ovviamente negano, si arrabbiano, ridono di tutta questa nuvola di sospetti, con un po’ di stizza, finché qualcuno di loro tuttavia non spiega, non insinua che “le vere manovre, le più stupide, vengono da Roma, e dal cerchio magico intorno a Berlusconi”. E davvero si capisce poco, tutto assume un sapore grottesco: “Qualcuno faccia notare agli aspiranti successori di Berlusconi che Forza Italia, senza Silvio in campo, vale quanto il fu Ccd di Casini”, dice Gianfranco Rotondi, con un certo disincanto, e un tono di estraneità infastidita. “Invece di parlare coi giornalisti preghino per la salute di Silvio, se non per amor suo, almeno per amore di se stessi”. E dunque c’è anche molta spazientita ironia tra chi osserva, persino dall’interno, questo darsi di gomito, questo sbracciarsi un po’ scomposto, fatto di allusioni, mezze parole, piccoli atti simbolici: “Se uno smania faccia cento comitati per il no al referendum, gli diamo un pacco di volantini e lo mandiamo sulle spiagge di Fregene, così gli passa la smania”, dice Maurizio Gasparri. E tira un’aria strana,  forse sempre la stessa aria  d’opportunismo e di furbizia che si respira di fronte al corpo infermo di un capo assoluto, di un principe, di un monarca e di un padrone.

Armati e combattivi gli uni contro gli altri, i cavalli del Cavaliere, loro che di Berlusconi hanno adorato l’autorità e il miracolo, adesso vanno avanti così, privi di riferimenti, come imbizzarriti: chi tira verso Salvini o  verso Grillo, chi un po’ verso Renzi, chi già s’era immaginato reggente mega-galattico come in un film di Fantozzi, tutti contro tutti, in un venefico pissi pissi, a riprova che la salute del sovrano è ancora il collante tribale, e che insomma l’impedimento del re sempre fa rischiare la dissoluzione del regno, accelera il metabolismo delle ambizioni più sfrenate e fantasiose. Tutte le biografie di Stalin, che con Berlusconi neanche a dirlo non c’entra niente ma pure lui aveva intorno una corte con il codazzo di tutti i parassiti della terra, concordano su un solo aspetto, cioè il comportamento di Beria e dei cortigiani nei giorni della sua malattia: “Ogni volta che sul viso di Stalin sembravano apparire segni che potevano far pensare alla sua guarigione, Beria si gettava in ginocchio al suo capezzale, gli prendeva le mani e le copriva di baci. Poi, quando Stalin sembrava piombare di nuovo nell’incoscienza, si alzava, sputava e lo insultava”.

Dice allora Confalonieri, riferendosi a questo mondo di lillipuziani agitati intorno al gigante infermo: “Esiste anche un’intelligenza del saper tacere”, di cui alcuni di loro sembrano mancare del tutto. “Berlusconi e un’anomalia, una straordinaria anomalia, e la successione, se mai ci sarà, non potrà che essere anomala come tutto il resto”. Si tessono insomma delle trame, s’accendono ambizioni  per scalare un partito vuoto, che non è mai esistito se non intorno al denaro, alle televisioni, alla fantasia, all’anomalia padronale del Cavaliere, cumenda e uomo di stato, brianzolo e romano, imprenditore e politico. E allora forse Confalonieri, come gli altri membri della famiglia, vorrebbe sia Berlusconi, tra un mese, quando si sarà ristabilito, a risolvere gli inghippi, a dissipare i dubbi, a sciogliere i non detti, a occuparsi del lascito, dell’eredità, dell’immortalità del berlusconismo, l’unica mossa che può finalmente metterlo nella posizione di vivere in una nuvola di onori, di agi, di conforti domestici, tra gente che da lui non pretende più nulla. Lontano dalla corte, e dai lillipuziani.

Categoria Italia

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