Quel pasticciaccio dei voucher

La vicenda dei voucher sembra l’icona di un mondo politico che, invece di risolvere i problemi, riesce a crearne sempre di nuovi

Di Marino Longoni, 10.7.2017  da www.itliaoggi.it

Quel pasticciaccio dei voucher

La vicenda dei voucher sembra l’icona di un mondo politico che, invece di risolvere i problemi, riesce a crearne sempre di nuovi. I voucher sono stati per poco tempo un meccanismo retributivo semplificato, adatto a coprire numerose esigenze non facilmente inquadrabili nei contratti tradizionali. Su pressione della Cgil, che peraltro li utilizzava ampiamente, questa formula semplificata è stata cancellata e ora sostituita da un meccanismo cervellotico, con la inevitabile conseguenza di ricacciare nel sommerso gran parte dei rapporti che fino a pochi mesi fa erano stati regolarizzati.

Il governo, infatti, per non correre il rischio di perdere il referendum indetto dalla Cgil ha prima abrogato e poi riscritto la disciplina sui voucher, con esiti disastrosi.

Dall’utilizzo dei nuovi voucher infatti ora sono esclusetutte le imprese con più di cinque dipendenti, le imprese edili e quelle agricole (salvo casi particolari), le pubbliche amministrazioni e i lavoratori che sono stati dipendenti o collaboratori della stessa impresa nei sei mesi precedenti. In un paese che dovrebbe avere nel turismo uno dei suoi punti di forza, un ristorante o di un albergo con più di cinque dipendenti, che ha un picco di attività uno o due mesi l’anno, ora non può più utilizzare questo strumento per retribuire lavoratori temporanei.

Anche dal punto di vista burocratico non c’è stata alcuna semplificazione, anzi, sembra che il legislatore si sia ingegnato a rendere l’uso dei voucher più macchinoso possibile. Imprese e famiglie sono tenute a una preventiva registrazione su una apposita piattaforma gestita dall’Inps, ogni volta che dovranno utilizzare un lavoratore dovranno darne comunicazione preventiva (le imprese) o successiva (le famiglie). Come se non bastasse le istruzioni dell’Inps, diramate nei giorni scorsi, hanno contribuito ad aumentare la complessità e i dubbi degli operatori. Per stabilire se l’azienda ha più o meno di cinque dipendenti, e quindi se può utilizzare i voucher, si è previsto un meccanismo inutilmente complesso che fa riferimento alla media dei lavoratori assunti nel periodo tra i tre e gli otto mesi precedenti, con l’aggiunta di ulteriori complicazioni per categorie particolari come i dipendenti part-time. Evidentemente la semplicità di utilizzo non era il primo obiettivo.

Strana anche l’interpretazione data dall’Inps sulle modalità di calcolo delle retribuzioni dei lavoratori. La norma prevede infatti che quando questi sono utilizzati dalle famiglie il compenso sia di 10 euro l’ora mentre quando sono al servizio di una impresa questo scenda a 9 euro. La circolare dell’istituto di previdenza, in contrasto con la lettera della legge, prevede che il primo sia calcolato al lordo degli oneri previdenziali e assicurativi, mentre il secondo sia al netto. Le aziende saranno inoltre costrette a retribuire il dipendente per almeno quattro ore lavorative anche se questi sarà utilizzato solo per una o due ore.

Una situazione kafkiana. Creata ad arte perché, dopo aver abrogato una normativa che funzionava, non se ne poteva approvare subito un’altra troppo simile. La conseguenza inevitabile è che molte situazioni che, bene o male, avevano prima trovato una loro forma di legittimazione, ora torneranno nel sommerso, dal quale faticosamente erano uscite. Tutto ciò, paradossalmente, grazie all’azione della Cgil che però, in questo modo, è riuscita a guadagnarsi una certa visibilità politica.

Sulla pelle di lavoratori, famiglie e imprese, si è giocata una sporca battaglia politica che ha creato danni che ora, nella migliore delle ipotesi, richiederanno anni per essere riparati.

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