Oggi il mondo dipende dalle scelte e dagli interessi di due sole grandi potenze: gli Usa e la Cina

Il bipolarismo serve all'Italia. Se giocato bene ci libera da vecchi vassallaggi Ue

di Domenico Cacopardo www.cacopardo.it

È ormai chiaro per i più attenti osservatori di questioni internazionali che s'è ormai realizzato un nuovo bipolarismo: Cina e Stati Uniti sono le uniche potenze globali in serrata competizione e non è ancora chiaro quali possano essere gli sbocchi di questo confronto.

Il medesimo allargamento dell'elenco dei prodotti cinesi gravati da dazi integrativi non è che un piccolo passo in una querelle globale, nella quale è presente un fenomeno mai visto prima nella storia del mondo: le due potenze sono abbastanza equivalenti, con l'annotazione che la Cina ha conquistato la primazia in una serie di settori ad alta e avanzata tecnologia.

Insomma, gli Stati Uniti, potenza planetaria, si confrontano con un'altra potenza planetaria che non manifesta alcuna soggezione nei suoi confronti. L'unico gap ancora esistente è di carattere militare (ma la parola «unico» non rende l'idea della vastità del settore «difesa») e uno dei suoi principali «asset» è il numero di bombe termonucleari a disposizione e la capacità distruttiva.

Fattori evocabili sì nelle dissertazioni teoriche, visto che se si passasse dalla teoria alla pratica poco varrebbe avere la capacità di distruggere due, tre, quattro volte il mondo, rispetto all'altrui capacità di annientarlo un paio di volte.

Questa situazione, ha numerose ed evidenti conseguenze. Benché abbia interessi - e li tuteli - in Medio Oriente (Siria, Libia, Iran) la Russia è ormai una potenza regionale, sostanzialmente satellizzata dalla Cina mercé una serie di trattati economici e militari sottoscritti per la miopia della politica americana che, chiudendo ogni porta allo zar moscovita, l'ha spinto (con la sua non indifferente capacità militare) nelle braccia di Pechino.

Perciò, in un mappamondo nel quale la Cina diventa il riferimento politico di parte significativa dell'Africa, del Sud America e di aree dell'estremo Oriente, e gli Stati Uniti rimangono egemoni sul resto, a parte, almeno per ora, l'Unione europea, non esistono spazi per i non allineati. I non allineati del tempo della Guerra fredda, erano tutti, in sostanza, allineati con l'Unione sovietica, mimetizzati –per ragioni propagandistiche- su una inesistente terzietà.

In questo contesto, la pulce non gode, né godrà di margini di autonomia: i giochetti in corso con Russia e Cina hanno il fiato breve, finché gli Stati Uniti non stringeranno i freni, consolidando la loro primazia nell'area residuale nella quale ancora la esercitano. E sarà fatale che la medesima Unione europea finisca per allinearsi, lasciando spazi di modesta autonomia ai suoi componenti, in modo compatibile con le esigenze di confronto globale.

L'alternativa, nella quale si erano esercitati i governi del dopo Muro (e che non è un'alternativa di sinistra, ma una scelta prettamente capitalistica), è stata quella di puntare sull'incremento del commercio globale.

L'aspetto positivo di questa scelta era costituito dalle conseguenze dell'incremento dei commerci internazionali: la creazione di sempre più strette relazioni di interesse (il resto è window dressing, niente più) rendeva maggiori le interdipendenze. La medesima Cina, nel crogiolo di una crescita disordinata e accelerata dei commerci internazionali avrebbe presto incontrato il punto di rottura tra la dittatura interna e le esigenze di libertà individuale che la libertà economica comporta.

In definitiva, la vittoria di Trump alle elezioni del 2016 è strettamente legata all'insicurezza crescente degli americani colpiti dall'avanzare degli «altri» e dalle nubi che gravavano sulla loro leadership. A questo si aggiungeva una politica estera particolarmente contraddittoria e sconfittista che colpiva altre storiche sicurezze americane.

Oggi che il confronto tra Usa e Cina è giunto al punto di massima tensione (e vedremo cosa significhi la mezza marcia indietro sui dazi di Trump) le questioni irrisolte diventano sempre più gravi e urgenti. Così tanto da rendere percepibile l'arrivo di un'altra crisi epocale e di una recessione che, a dispetto di tutte le illusioni è proprio figlia del ridimensionamento degli scambi.

Alla vigilia delle nuove elezioni, Trump cercherà nell'«appeasement» con la Cina la via per ridurre i rischi di recessione e di mantenimento di una congiuntura positiva.

Come e quanto questo stato dell'arte si rifletterà sull'Italia è facilmente immaginabile. Usi come siamo - sin dal Rinascimento - a giocare il nostro genio nel confronto di stati e signorie, saremo costretti a restringere il gioco agli Stati Uniti e all'Unione. Non è una sciagura, ma una sorta di assicurazione nei confronti dell'ipotesi di diventare una delle tante «nazioni sul mercato», pronte a svendersi al miglior offerente del momento.

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