IL FUTURO DEM. Pd, che fare?

La nuova stagione passa da una scelta: laburismo cazzuto ma liberaleggiante o liberalismo non cazzone e laburistico?

GIULIANO FERRARA 04.3. 2021 ilfoglio.it lettura2’

A che serve il Pd?. Parte delle élite e notevole politologo, si fa per dire, credevo che alle elezioni del 2018 i grillini e la Lega del Truce avrebbero perso le elezioni, e vedevo il Pd che andava benone. Ci andai vicino, ma non tanto. I ragionamenti consequenziali non sono fatti per la politica, e viceversa. Mi dicevo. Questi hanno dato all’Italia un governo di tre anni, più il prologo Enrico Letta, più l’anteprima felice abbastanza con Monti, poi con Renzi riformatore e innovatore, poi con Gentiloni, dopo il disastro del referendum, ma sempre sul 40 per cento dei sì, un uomo rassicurante accompagnava al voto the italian. Volete che la gente si faccia prendere dal risentimento, dalla frustrazione, dalla rabbia antipolitica e demagogica e non capisca quanto di buono ha fatto l’ultimo partito costituzionale che agisce sulla scena pubblica? Si fece prendere. E ne ha pagato le conseguenze, direi.

Ora è tutto cambiato. Il Pd ha emancipato i grilli dal basta euro e dal populismo straccione del Papeete, Trump dà delle feste a Mar-a-Lago, un governo di stato e di mercato guidato dal mejo figo del bigoncio è succeduto all’onesto Bisconte, le emergenze sono fronteggiate, per rientrare in gioco l’Infiltrato ha dovuto non travestirsi ma trasfigurarsi addirittura, le cose vanno male ma non troppo (come scrive Cerasa in uno sforzo erculeo di ottimismo razionale), chiaro che alle elezioni prossime, che rinvierei volentieri di cinque anni con la scusa del Next Generation Eu ma non si puote, non c’è alternativa al partito non proprio carismatico ma lungimirante degli Zingaretti, dei Bettini, dei Franceschini, degli Orlando, dei Guerini eccetera, in collaborazione e competizione con la formazione politica contiana e grilliana di sostanza non iacobonica. Cara destra, più o meno rimpannucciata o Infiltrata, degna di governare forse sì e forse no, non ce n’è per nessuno. La sensazione però è che potrei sbagliarmi una seconda volta, l’ennesima.

Infatti Francesco Cundari osserva, e non senza ragioni, che se ti identifichi con un federatore dei progressisti come il Bisconte, se la tua identità è appannata e dedita alle alleanze come fossero cocaina, se per giunta ti ritrovi nello stesso ministero dell’Infiltrato ex Truce, il senatore Salvini, la raccolta del consenso, mah, potrebbe rivelarsi ardua, almeno secondo i migliori istituti demoscopici. Che fare? Non lo so. Cambiare linguaggio, ma salvaguardando certe istanze di silenziosa o non ciarliera serietà del presidente del Lazio e del ministro della Cultura e degli altri colleghi e compagni. Può darsi che aiuti. Rilanciarsi come aggregazione o amalgama non riuscito, reimbarcando le personalità di una lunga storia e di variegata presenza e influenza. Chissà. Tentare una nuova analisi della società italiana e del suo popolo, oltre che dell’Europa, per rispolverare un laburismo cazzuto ma liberaleggiante, o un liberalismo non cazzone e laburistico, un liberalsocialismo coi denti, non sonnacchioso, nobile ma anche sporco il giusto, ricollegandosi con il meglio del sindacato e alla cultura dell’Economist?

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