Lettere al Direttore Il Foglio 1.7.2015

La Grecia, i furbetti, la contraddizione di Tsipras (con una critica)

1-Al direttore - Se contro nozze gay e teoria gender, da cattolico, lotto da solo, l’otto per mille…

Mario Landolfi

2-Al direttore - E’ giusta la variante ciliegiola nobilitante la metafora ricucciana secondo la quale la Grecia non può fare l’anticapitalista con i soldi degli altri. A patto che, però, di ciò effettivamente si tratti e che si inquadri anche il comportamento di quegli esponenti politici che chiusero gli occhi per non vedere le diffusamente note falsificazioni dei conti pubblici operate dai passati governi ellenici, in due distinte circostanze, perché diversamente avrebbero rischiato gli interessi dei propri paesi, a cominciare da quelli delle banche tedesche: non l’agire della predetta metafora turpiloquente, ma il non agire, ugualmente censurabile, per non subire danni. Ora, nell’acme della tragedia, bisogna ancora inseguire l’ipotesi della catarsi. Non si può considerare chiusa la vicenda con l’esito del referendum e l’automatismo conseguente. Non è vero che da Grexit trarrebbe danno solo la Grecia; la draghiana terra incognita riguarda tutti. Non è affatto, questo, un derby – metafora quanto mai immeschinente – dopo la cui conclusione tutti gli spettatori tornano a casa. Può essere un passaggio epocale, sperando che un nuovo Keynes, magari in formato ridotto, non debba scrivere di qui a poco un saggio su “Le conseguenze economiche della signora Merkel e degli altri partner europei”.

Angelo De Mattia

Il problema oggi non è Merkel. Il problema è Tsipras. E il problema è la sua contraddizione: non accettare il principio che l’Europa è il luogo in cui devono convivere stati diversi che devono perseguire un’armonia finanziaria e che per essere solidali l’uno con l’altro non possono rifiutare il principio della parziale cessione di sovranità. Se Tsipras vuole essere finanziato senza dare nulla in cambio l’alternativa è semplice, ed è il dracma greco.

3-Al direttore - Mi ha preoccupato la posizione critica del Foglio sul referendum indetto dal governo Tsipras: avete scritto che la decisione è demagogica, che la democrazia ha funzionato male fin da Pericle, che il popolo non sa scegliere. Siamo da capo a discutere di qualcosa sulla quale abbiamo discusso a lungo e ben conosciamo, dalla celebre frase di Churchill che la democrazia è la forma migliore di governo tra le peggiori conosciute a quella, paradossale, ma corretta, di Sartori che essa è il diritto del popolo a sbagliare, purché se ne assuma la conseguenza? L’assunzione di responsabilità da parte dell’elettorato è il punto sul quale ha fallito la costruzione elitaria europea dei vincoli esterni alla sovranità popolare in nome di chi comprende meglio gli interessi del popolo, che è la concezione di Platone che Popper considerava matrice del nazifascismo. E’ invece corretta l’obiezione che le conseguenze le patiscono anche i non greci, ma il problema non è la democrazia, quanto l’assenza di regole di governo della cooperazione internazionale – e quindi anche europee – in presenza di un regime di libero scambio e libera speculazione. Per la simpatia che porto a questo quotidiano, vi prego di non scivolare nella deriva di una falsa concezione della democrazia che sembra affliggere l’Europa e, ahimè, anche l’Italia.

Paolo Savona

4-Al direttore - Chiedo scusa se vengo meno al dovere di non replicare ai recensori, ma quando i recensori si chiamano Franco Debenedetti, già senatore Ds e ora presidente dell’Istituto Bruno Leoni (che presta al MISE uno dei suoi più valorosi esponenti), e cedono a memorie presbiti, un’integrazione di informazione è d’obbligo. Franco ritiene di smentire la denuncia (che ho riproposto nella discussione con Francesco Giavazzi) secondo la quale l’Italia non ha la tv via cavo a causa del duopolio Rai-Mediaset. Lo fa citando la mancanza del regolamento attuativo di un decreto legislativo del 1991 che correggeva una legge del 1973 la quale assegnava alla Stet il monopolio delle reti di telecomunicazioni. Se la tv via cavo non c’è, conclude, colpa della Stet, e cioè, insinuo io scorrettamente, dello Stato imprenditore. Tre notizie: a) la Stet, con il nome di Telecom Italia, è stata privatizzata nel 1997; b) la posa delle reti di telecomunicazioni fisse è libera più o meno da vent’anni: Fastweb e Metroweb, ma anche Infostrada, Colt e altri operatori ne hanno costruite e/o ne gestiscono alcune, talvolta rilevanti; c) la Stet, regnante Ernesto Pascale, varò negli anni ’90 il piano Socrate che posava la fibra ottica proprio per lanciare la tv via cavo, anche in concorrenza con Rai e Mediaset, e venne fermato in vista della privatizzazione dai “riformatori” tra i quali ora non ricordo se ci fosse anche Franco, ma forse sì…

Massimo Mucchetti

Categoria Rubriche

Per accedere all'area riservata